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TRA VILLE E GIARDINI

Donne, non muse ma vere artiste

“La storia è stata scritta per secoli da uomini”: una rilettura che svela l’altro lato dell’arte

Che ne sapeva Gustav Klimt di due sorelle che facevano “arte secessionista” prima di lui, o Pollock di una casalinga di Brooklin che già dipingeva a “dribbling”, o ancora Kandinsky della pittura astratta della svedese Hilma af Klint, ben 40 anni prima di lui? Sapevano, eccome.

Il merito di queste donne? Nessuno, se non quello di aver ispirato, niente di più. Tra chi doveva nascondere addirittura la firma femminile, con la conseguenza, sennò, di essere brutalmente raschiata via dalla tela da parte dei venditori, e chi invece si è vista distruggere tutte le pitture dopo la morte da parte del marito, la storia dell’arte al femminile è ancora tutta da riscoprire, anzi, da conoscere.

Ne è certo Jacopo Veneziani, ospite d’eccezione mercoledì sera all’evento firmato “Tra ville e giardini” (itinerario di musica, teatro e circo nelle ville e nelle piazze del Polesine) andato in scena nel suggestivo parco di palazzo Tomanin a San Bellino. Classe 1994, piacentino, storico dell’arte, dottorato parigino alle spalle della Sorbona, popolarmente acuto nel programma di Gramellini, “In altre parole” su La7 (di cui è ospite fisso ogni sabato sera), al netto anche della conduzione su Rai 3 di “Vita da artista” e il racconto del genio sregolato di Caravaggio per “Viva la Danza” con Roberto Bolle. In Polesine ha portato “Perfette sconosciute-Artiste che la storia ha preferito tacere”, prodotto e distribuito da Savà Produzioni Creative.

Grandi applausi già all’inizio da parte di Enrico Ferrarese, presidente della Provincia, unitamente a Cristiano Corazzari, assessore regionale, Aldo D’Achille, sindaco del paese, Lucia Ghiotti, consigliera provinciale e Raffaele Campion, assessore comunale. Genio e privazione, libertà di chi se l’è presa al costo di tutto, come Niki de Saint Phalle, con cucina e camera da letto nei capezzoli della grande casa-scultura “Nanas” a Capalbio, dove viveva, e tenacia di quella che Michelangelo definì la miglior artista in circolazione, Sofonisba Anguissola.

“La storia dell’arte è stata scritta per decenni da uomini che hanno sempre trattato le donne come muse, compagne, come se fossero solo delle appendici” ha esordito Veneziani, introducendo il tutto esaurito della platea in un viaggio attraverso i secoli, le epoche, ma soprattutto, lungo i solchi dei volti di tante artiste, spesso celati dietro i grandi nomi di un racconto fatto al maschile.

Ecco quindi affiorare Margaret e Frances Macdonald, interior designer ante litteram che spopolarono nella Vienna imperiale di inizio ‘900 e dalle quali Klimt si ispirò per il “Bacio” del Belvedere, o ancora, rimanendo in Inghilterra, Georgiana Houghton, tanto ottocentesca nella posa dei ritratti, acconciata alla vittoriana, quanto astratta e spiritista nei suoi quadri, ben prima di Klee e degli acquarelli di Kandinsky. Considerando che negli stessi anni Hayez dipingeva il mieloso “Bacio” di Brera, lei lasciava scorrere la mano vorticosamente sul foglio. Insomma, donne nascoste ma prorompenti per novità e anticipazioni, come anche Vanessa Bell, sorella di Virginia Woolf.

Fu lei che realizzò una “Hall of fame” tutta all’East Sussex, una serie di piatti decorati dedicati, uno ciascuno, alle grandi donne della storia che non avevano potuto “sedere” al tavolo della fama maschile. Reinterpretazione firmata 1974-79, quella di Judy Chicago, nel mirabolante “The Dinner Party”.

Tocco femminista, accenno queer, sotto la chioma viola.

Immancabile un accenno a Clara Peeters, fiamminga specializzata - per costrizione più che per scelta - a fare nature morte, ma che nature morte! E poi, Anna Morandi Manzolini, settecentesca anatomista e scultrice bolognese, imperturbabilmente ritrattasi mentre disseziona un cranio. Una cosa da tutti i giorni, insomma, per una donna che aveva osato - e c’era riuscita - a scalfire quell’ideale del “sesso debole”, troppo femminile per fare medicina. In chiusura, l’indimenticabile Marina Abramovic (Studio Morra, Napoli, 1974), una performance in cui si mise a disposizione del pubblico vari oggetti, più e meno pericolosi. Esperimento terminato dal gallerista quando venne presa e puntata alla fronte dell’artista una pistola.

Forti, toste, indipendenti, no, non la canzone di Marcella Bella, ma il temperamento di persone, prima che artiste, donne interamente tali, essenzialmente uniche perchè alla pari, finalmente considerate e raccontate sotto le stelle di San Bellino.

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