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“Più educazione per i giovani”

I rodigini si esprimono sul disagio sociale dei ragazzi

“Più educazione per i giovani”

Risse in strada, aggressioni improvvise, perfino accoltellamenti. A preoccupare di più è un dettaglio: protagonisti e vittime sono sempre più spesso adolescenti e giovanissimi. Che cosa sta succedendo ai ragazzi? Da dove partire per invertire la rotta? Emerge un quadro complesso, fatto di mancanze educative, disorientamento generazionale e un uso sempre più distorto dei social media.

Chiara punta il dito contro l’assenza degli adulti e la pervasività del mondo digitale: “Credo che i nostri ragazzi non vengano seguiti abbastanza. Sono lasciati a loro stessi, e questo vale tanto per i genitori quanto per la società in generale. Internet, se usato male, è una fonte di violenza: non aiuta i giovani a crescere nel modo giusto e non favorisce l’accettazione della diversità. Dovremmo aiutarli a disconnettersi un po’ da quel mondo che mostra una realtà falsa, filtrata e aggressiva.”

Secondo Taulant, il problema non è locale ma nazionale, e riflette una trasformazione culturale più ampia: “Questo fenomeno riguarda tutta Italia. Viviamo un cambiamento radicale nei valori, nella cultura e nella struttura sociale. I ragazzi di oggi non sono più quelli di una volta: spesso agiscono come se le loro azioni non avessero conseguenze. I social, in questo senso, non li aiutano a responsabilizzarsi. L’educazione deve partire dai luoghi in cui i giovani si aggregano: scuole, famiglie, centri estivi.”

Sara esclude che si tratti di un problema legato all’integrazione e riflette sull’impatto della violenza normalizzata nei media: “Non credo sia una questione di integrazione, ormai quella c’è. Quello che non riesco a spiegarmi è la brutalità con cui avvengono certi episodi. Non è solo questione di stranieri o italiani, è qualcosa di più profondo. La violenza è ovunque: in tv, nei videogiochi, online. È diventata parte del quotidiano, visibile, accessibile. E i giovani la imitano.”

Fabrizio, padre da dieci anni, chiama in causa la responsabilità genitoriale e il vuoto educativo: “Molti comportamenti nascono dalla mancanza di cultura e rispetto. Quando leggi di ragazzi che distruggono lettini in spiaggia, capisci che c’è un problema serio con i beni pubblici, con le regole. I genitori devono essere più presenti. I ragazzi hanno tutto, sono annoiati e in gruppo fanno cose che da soli non farebbero. Quando ero giovane, sapevo bene cosa mi aspettava se mi fossi comportato male: oggi quel senso del limite non c’è più”.

In fondo, il tema sembra ruotare attorno a un’unica parola chiave: educazione. Che significa prima di tutto presenza, ascolto, confini chiari. Ma anche investimento in politiche giovanili, in luoghi di aggregazione sani, in percorsi scolastici che sappiano parlare davvero alla complessità dell’adolescenza.

La violenza tra giovani non è solo un sintomo di disagio, è anche un grido di attenzione. Per molti, infatti, dietro certi gesti c’è noia, vuoto, un bisogno mal espresso di essere visti e riconosciuti. E sono la scuola, la famiglia e la comunità a dover offrire loro risposte e sostegno.

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