VOCE
GAZA
11.08.2025 - 15:49
Nel giorno in cui Benjamin Netanyahu illustra al mondo il suo piano per Gaza, le strade di Tel Aviv si riempiono di cartelli con i volti degli ostaggi. Tra promesse di corridoi umanitari, avvertimenti dell’Onu su una “pericolosa escalation” e l’insolita fronda di un alleato di governo, il conflitto si gioca su tre fronti: militare, diplomatico e domestico. A tenere insieme il quadro è un interrogativo che risuona ovunque, da Gerusalemme alle cancellerie europee: quale sarà l’assetto di Gaza e a quale prezzo per i civili e per gli ostaggi?
Nel corso di una conferenza stampa per i media stranieri a Gerusalemme (10 agosto 2025), il premier israeliano Benjamin Netanyahu ha ribadito che “l’obiettivo non è occupare Gaza, ma liberarla”. La guerra, ha insistito, “può finire domani se Hamas depone le armi e libera tutti gli ostaggi”. Il piano israeliano, articolato in cinque punti e con un “calendario abbastanza rapido”, prevede: - la smilitarizzazione della Striscia; - il mantenimento da parte di Israele della “responsabilità della sicurezza”; - l’istituzione di una “amministrazione civile non israeliana” sull’enclave. Senza entrare nel dettaglio degli altri pilastri, Netanyahu ha legato la cornice militare alla crisi umanitaria, annunciando “corridoi sicuri” per gli aiuti, l’aumento dei punti di distribuzione “gestiti dalla Ghf” e un incremento dei lanci aerei da parte delle forze israeliane e di partner internazionali.
“Gli unici che stanno deliberatamente morendo di fame sono gli ostaggi”, ha affermato Netanyahu, esibendo la foto dell’israeliano rapito Evyatar David visibilmente dimagrito. Il premier ha anche detto di valutare un’azione legale contro il New York Times, accusato di aver pubblicato la foto di un bambino di Gaza malato presentandolo come malnutrito a causa del blocco degli aiuti da parte di Israele. “Aprite gli occhi alle menzogne di Hamas” è stata la sua formula, nel tentativo di spostare il baricentro del dibattito sulla responsabilità della crisi. Si tratta di un terreno scivoloso: le parole del premier cercano di neutralizzare l’impatto internazionale del dossier fame, mentre l’annuncio di corridoi e lanci aerei prova a costruire una narrativa di controllo e mitigazione. Ma il nesso tra operazioni militari, accesso umanitario e sicurezza degli ostaggi resta il punto più delicato, come segnalano molte capitali.
Dal Consiglio di Sicurezza è arrivato un monito netto. Miroslav Jenča, vice segretario generale dell’Onu per Europa, Asia centrale e Americhe, ha parlato di “ennesima pericolosa escalation” e ha ribadito che “l’unico modo per porre fine all’immensa sofferenza umana a Gaza è un cessate il fuoco completo, immediato e permanente”. Per le Nazioni Unite, non esiste una soluzione esclusivamente militare né per Gaza né per il confronto israelo-palestinese più ampio. Londra e Parigi hanno chiesto a Israele di “revocare subito” la decisione su Gaza. Il vice ambasciatore britannico James Kariuki ha avvertito che il piano “metterà più a rischio la vita degli ostaggi ed esacerberà una catastrofe umanitaria”, invitando a “cancellare immediatamente e completamente le restrizioni sulla consegna degli aiuti”. Il collega francese Jay Dharmadhikari ha definito il progetto “una minaccia per la sicurezza regionale”, opponendosi a “qualsiasi piano di controllo od occupazione” e richiamando Israele al rispetto del diritto internazionale.
Migliaia di persone sono scese in strada a Tel Aviv per chiedere la cessazione delle operazioni militari a Gaza e il rilascio dei rapiti. La manifestazione, promossa dal Forum delle famiglie degli ostaggi e dei dispersi, è avvenuta all’indomani della decisione del governo di puntare su Gaza City, alimentando il dissenso interno e l’attrito con la comunità internazionale. Alcuni manifestanti hanno bloccato per ore l’autostrada Ayalon, snodo cruciale della città. La polizia ha sgomberato la carreggiata e arrestato tre persone. Il messaggio dei partecipanti è stato inequivocabile: “Niente è più importante della vita degli ostaggi. Fermate la guerra, riportateli a casa”.
Mentre Tel Aviv era in piazza, le Forze di difesa israeliane hanno rivendicato un attacco aereo contro un obiettivo di Hezbollah nel Sud del Libano, ad Aynata. Secondo l’Idf, sarebbe stato ucciso un “operativo” del gruppo sciita impegnato nella raccolta di informazioni sulle truppe israeliane, in violazione del cessate il fuoco tra i due Paesi.
Il dissenso colpisce anche il governo. Il ministro delle Finanze Bezalel Smotrich, figura di estrema destra, ha dichiarato di aver “perso la fiducia” nella capacità e volontà di Netanyahu di “guidare l’esercito alla vittoria”. Pur non ventilando le dimissioni, Smotrich ha chiesto di “non avere più soste intermedie” né “accordi parziali”, puntando a una “vittoria chiara” che porti alla “resa completa di Hamas e al ritorno di tutti gli ostaggi in un colpo solo”, o alla “distruzione” del movimento, fino ad evocare “l’annessione di ampie zone della Striscia di Gaza”.
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