VOCE
veneto
14.08.2025 - 09:06
Un lettino d’albergo, l’alba sul Mediterraneo e una corsa disperata tra corridoi e sirene. Nel silenzio che segue un annuncio in ospedale, per Roxana il tempo s’è fermato. Ora chiede solo di stringere il suo Arian in Italia. Ma tra dolore e burocrazia, ogni ora pesa come una sentenza.
"Voglio solo potere piangere mio figlio in Italia, ogni giorno che passa per me è una tortura". La madre ripercorre le ore più dure: alle 5 del mattino Arian piange, i genitori lo cullano per un dolore al pancino che sembra rientrare. Al risveglio successivo, il piccolo ha "delle chiazze sul corpo e un colorito violaceo". Roxana lo prende, ma è privo di sensi. Corre alla hall invocando un medico. "C’è voluto tanto perché arrivasse e ancora di più l’ambulanza". Intanto alcuni turisti ucraini e tedeschi praticano respirazione bocca a bocca e massaggio cardiaco. In ospedale, dopo circa 40 minuti, la comunicazione che Arian non c’è più.
Secondo quanto riferito dalla famiglia, il Consolato italiano di Smir non rilascerà il nulla osta al rientro della salma finché non riceverà dall’agenzia funebre di Antalya i documenti cartacei inviati per posta. "Non vogliono la pec, ma solo via posta, nel 2025 non capisco tutta questa burocrazia", dice Roxana. Se le carte non arrivassero in tempo, il volo andrebbe annullato e riprogrammato, con costi e sofferenza che aumentano.
Roxana e Bogdan sono una coppia radicata nel Veneto orientale, con reti di lavoro e affetti tra Musile di Piave e Ceggia. La tragedia abbraccia due comunità: quella di casa, che attende Arian per l’ultimo saluto, e quella dei viaggiatori che in hotel hanno provato a strappare il bimbo alla morte. È un dolore che unisce, almeno quanto lo smarrimento davanti a procedure che, in casi come questo, dovrebbero essere più rapide e digitali.
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