VOCE
VACANZE 2025
15.08.2025 - 15:40
C’è davvero chi pretende la doccia calda a 2.300 metri e chi sale in torso nudo cercando “prosciutto e melone”? Sì. Ma dietro l’aneddoto c’è molto di più: un’ondata di frequentatori attratti dall’alta quota, spesso senza preparazione, spinta dall’effetto vetrina dei social. Intanto la montagna, che non fa sconti a nessuno, presenta il conto a esperti e neofiti.
«Da allora la quantità di gente se non è raddoppiata poco ci manca», racconta Paolo Valoti, past president del CAI di Bergamo. Il riferimento è all’epoca del Covid, quando la ricerca di spazi aperti ha portato molti – giovani, ma non solo – a scoprire sentieri e creste. Sulle Orobie, la scorsa domenica, Valoti ha incontrato «persone che per la prima volta erano a 2.500 metri». Escursionisti, turisti, skyrunner: un pubblico nuovo e numeroso, non sempre consapevole dei rischi.
Quante volte una foto perfetta inganna sulla realtà di un percorso? «C’è gente che non pianifica né il tragitto né l’attrezzatura», avverte Damiano Carrara, delegato provinciale del Soccorso alpino. «Vede un’immagine online, crede che arrivarci sia facile e parte, senza sapere quanta preparazione serva a chi quella foto l’ha scattata». Il rischio è sottovalutare condizioni e difficoltà: nella Valle del Salto, riferisce Valoti, «c’era un ponte di neve alto tre metri» che gli esperti sapevano di non attraversare, mentre poco distante si aggiravano persone «vestite in modo tale che capivi subito che non erano esperte». La “scoperta” va bene, ma «con consapevolezza».
Il risultato della disinformazione? Più interventi. «Abbiamo soccorso 40 persone nella Valle dei Mulini che non avevano idea delle difficoltà del tragitto, tra torrenti da guadare e dislivelli», dice Carrara. Una sola ferita, ma il Soccorso ha dovuto riaccompagnare a valle anche tutti gli altri. E non mancano situazioni al limite dell’assurdo: c’è chi, a metà salita e senza fiato, telefona per farsi riportare giù in elicottero. Scarpe da città, abbigliamento leggero, zero protezioni contro pioggia e freddo: basta un temporale o una storta perché la “gita al fresco” diventi un problema. «Molti chiedono aiuto e non sanno nemmeno dove si trovano», osserva Dario Nisoli, presidente del CAI. Le sue regole base: - scarpe da trekking, acqua e strati contro pioggia e freddo - scegliere sentieri alla propria portata e crescere gradualmente - usare app con mappe e geolocalizzazione, ma senza rinunciare a pianificazione e buonsenso
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