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Il verde che può far male

Erbicidi e pesticidi nel giardino: rischi per cani e gatti

Prodotti per il prato e animali domestici: il verde che può far male

Quanto vale davvero un prato perfetto, se a pagarne il prezzo possono essere cani e gatti? La ricerca veterinaria invita alla prudenza: ciò che mantiene il giardino rigoglioso può trasformarsi in un rischio sottovalutato per la salute dei nostri animali. Dalle analisi della Cornell University College of Veterinary Medicine agli studi su cani esposti agli erbicidi, il messaggio converge: l’esposizione, spesso invisibile, è più comune di quanto pensiamo e merita scelte più consapevoli.


I ricercatori della Cornell University hanno documentato nei gatti domestici la presenza di metaboliti del glifosato e di altri pesticidi nelle urine, segno di un contatto tutt’altro che sporadico. Un’indagine condotta in Italia ha inoltre riscontrato residui di Ddt e Pcb nel tessuto adiposo felino, a riprova di un’esposizione che può essere cronica e persistente. Sul fronte canino, diverse ricerche statunitensi hanno evidenziato un’associazione tra l’uso di erbicidi nei giardini e un aumento del rischio di linfoma maligno. Uno studio pubblicato su Environmental Research ha rilevato concentrazioni rilevanti di erbicidi nelle urine dei cani che avevano camminato su superfici trattate anche giorni dopo l’esposizione. Alcuni composti agiscono inoltre come interferenti endocrini, con potenziali ricadute sul sistema ormonale.


Non serve vedere il prodotto per entrarci in contatto. Cani e gatti possono esporsi camminando sull’erba trattata, annusando piante e superfici, oppure ingerendo residui durante la toelettatura del pelo. E non basta restare in casa: le sostanze chimiche possono “viaggiare” su scarpe, vestiti o sulle zampe di altri animali, entrando così negli ambienti domestici. Gli esperti della Cornell sottolineano che questa esposizione “passiva” può verificarsi anche a distanza di giorni dall’applicazione, specie se l’asciugatura non è completa o se i residui sono persistenti. Il profilo di rischio cambia con il comportamento: i gatti, più bassi e inclini a strofinarsi sulle superfici, hanno un contatto diretto più facile; nei cani l’attenzione si concentra su zampe e muso, con rischio maggiore per chi ama scavare o rotolarsi nell’erba.


Nei gatti i sintomi più frequenti includono salivazione eccessiva, vomito, irritazioni cutanee, debolezza e difficoltà respiratorie. Nei cani possono comparire anche tremori, diarrea, convulsioni o reazioni allergiche. I segni possono emergere rapidamente o a distanza di ore; nelle esposizioni ripetute, gli effetti possono accumularsi nel tempo senza manifestazioni immediate. Davanti a questi campanelli d’allarme è opportuno contattare il veterinario e riferire con precisione i prodotti e i tempi di possibile esposizione.


Il problema non è solo la formulazione, ma anche chi e come la applica. I professionisti seguono corsi e ottengono abilitazioni per l’uso di pesticidi e diserbanti; i privati possono acquistare gli stessi prodotti con poche restrizioni, aumentando il rischio di dosaggi imprecisi e impieghi impropri, soprattutto in presenza di animali. Le raccomandazioni dei veterinari della Cornell sono nette: - leggere sempre etichette e schede di sicurezza; - calcolare con attenzione le dosi; - usare dispositivi di protezione individuale durante l’applicazione; - tenere lontani gli animali dalle aree trattate per almeno 24–48 ore. Un’ulteriore insidia: anche i prodotti definiti “biologici” o “pet friendly” possono risultare dannosi se ingeriti o manipolati durante la fase di essiccazione.


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