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L'allarme

Nel 2030 duemila ragazzi in meno

Ma la flessione del -9,6% dei giovani in Polesine nel quinquennio non è la più alta del Veneto

Nel 2030 duemila ragazzi in meno

Il futuro è dei giovani, si dice. Ma quanti saranno i giovani in futuro? In Polesine sempre meno. Ma con una sorpresa che arriva dalle statistiche sperimentali dell’Istat rielaborate da Openpolis. La provincia di Rovigo, infatti, nelle proiezioni a cinque anni, nel 2030, vedrà sì i propri residenti nella fascia d’età fra 10 e 19 anni crollare da 18.835 a 16.985, con un bilancio negativo di ben 1.850 ragazzi persi in un lustro, ma con un calo percentuale del -9,8%, che non è, ed è qui la sorpresa, la flessione maggiore a livello regionale.

Anzi, dopo Verona, che pur perdendo 6.114 ragazzi fra i 10 e i 19 anni, da 91.222 a 85.108, cala del -6,7%, e Padova che ne perde 8.502 in valore assoluto, da 88.728 a 80.226, con il -9,6%, è il terzo valore percentuale più basso a livello regionale. Con Venezia che fa registrare il -11,9%, da 77.125 a 6.7929, Treviso il -12,2%, da 89.332 a 78419, Belluno il -12,5%, da 17.332 a 15174, e con Vicenza che arriva addirittura al -12,7%, da 85.205 a 74.368.

Nella ricerca Openpolis si evidenzia come, a livello nazionale, “in uno scenario di previsione mediano, intermedio tra quelli più pessimistici e quelli più ottimistici, i giovani residenti tra 10 e 24 anni potrebbero passare dagli attuali 8,6 milioni a 8,2 milioni nel 2030. Un calo vicino al 5%, che sfiora il 10% se si considerano i soli residenti tra 10 e 19 anni. In questa fascia d’età infatti si potrebbe passare dai quasi 5,7 milioni attuali a circa 5,1 milioni nel 2030. Questa dinamica assume proporzioni differenti lungo la penisola. A fronte di un calo medio del 9,5%, un elemento che salta subito all’occhio è che tutte le province mostrano una variazione percentuale negativa, anche se con ritmi di decrescita previsti molto diversi. Guardando le province che si posizionano meglio, ovvero quelle con le diminuzioni percentuali meno accentuate, troviamo Parma (-1,1%), Bolzano (-1,2%) e Piacenza (-1,6%). Seguono Bologna (-3,4%), Pavia (-3,9%) e Ragusa (-4,3%). È evidente come queste province si trovino prevalentemente nel nord Italia, in particolare in Emilia-Romagna. Questo dato suggerisce una maggiore resilienza demografica in queste aree, sebbene il calo sia comunque presente. All’estremità opposta della classifica, emergono scenari decisamente più critici. Le province per cui si prevede la contrazione più severa nella popolazione 10-19 anni sono Caltanissetta (-18,6%), Enna (-18,1%), Nuoro (-17,2%), Barletta-Andria-Trani (-17,0%) e Taranto (-15,8%). Seguono una serie di province quasi interamente situate nel sud Italia e nelle isole”.

In un simile quadro ben poco rassicurante, volendo vedere una parte del bicchiere “non vuota”, si può notare come la prospettiva del Polesine non sia fra le più nere. Va però ribadito che si tratta di previsioni statistiche, quindi da prendere comunque con le molle. Tanto per fare un esempio, il tasso di natalità in Polesine viene ipotizzato dall’Istat in aumento, dal 4,9 per mille del 2024 al 5 del 2027, fino al 5,2 per mille del 2029. Guardando ancora più avanti, al 6,2 per mille nel 2040. Previsioni abbastanza ottimistiche viste le dinamiche delle nascite in provincia di Rovigo nel recente passato. Accanto a questo, tuttavia, si stima anche un aumento del tasso di mortalità, inevitabile con l'aumento dell'età media della popolazione, che dovrebbe passare da 13,3 per mille del 2024 al 14,1 del 2029, fino al 15,6 del 2040. E anche il tasso migratorio netto, differenza fra chi parte e chi arriva, è stimato in aumento dal 3,5% del 2024 al 3,6 del 2029 e fino al 4 per mille del 2040. Tutte dinamiche suscettibili di tali variabili non prevedibili che rendono quindi il tutto una mera ipotesi di studio.

E’ un dato concreto, invece, il fatto che siano stati 192 i giovani polesani che hanno scelto di trasferirsi all’estero nel corso dell’anno passato, con un aumento del +46,56% rispetto ai 131 migrati nel 2023. Il dato, riportato dal Flash Report 2025 della Fondazione Nord Est, conferma una perdita di risorse importanti per la provincia di Rovigo, che perde ulteriori forze in età lavorative in un tessuto sempre più asfittico. Ma perde anche competenze, visto che il 61,2% dei polesani migrati oltre confine aveva una laurea. Guardando ai dati nel tempo, nel 2011 i polesani espatriati all’estero erano stati 47, saliti a 50 nel 2012, poi quasi raddoppiati a 98 nel 2013, 99 nel 2014, 100 precisi nel 2015, 127 nel 2016, 132 nel 2017, 136 nel 2018, 169 nel 2019, 183 nel 2020, l’anno del Covid, 161 nel 2021, 130 nel 2022, 131 nel 2023, infine 192 nel 2024. In 13 anni sono partiti 1.755 giovani nel 2024 il numero di giovani nella fascia di età fra 25 e 34 anni. Un numero che, in tutto il Veneto è stato di 7.344 nel 2024 con un incremento del 53% rispetto ai 4.799 del 2023, mentre nel 2011 erano stati in tutto 1.730 i giovani veneti emigrati. In tutto, fra 2011 e 2024, si tratta di una massa di 55.800 giovani veneti, per la stragrande maggioranza laureati, che hanno cercato la propria strada altrove. Un numero superiore all’intera popolazione del capoluogo polesano.

Tutto questo rende dunque particolarmente delicata la questione demografica, perché non solo in Polesine la popolazione cala, ma a diminuire numericamente sono soprattutto le fasce di età più basse. Guardando alla variazione della popolazione dal 2005 al 2024, circa 16mila individui se si va a guardare fra le diverse fasce d’età, l’unica a mostrare un incremento numerico è quella oltre il 65 anni, da 54mila a 64mila, mentre quella che vede la maggiore diminuzione è quella dei giovani, tra i 18 e i 34 anni, da 51mila a 34mila, il 40% in meno. La fascia 35-64 è passata da 105mila a 100mila, mentre per i giovani fra 0 e 17 anni da 33mila a 29mila. E questo fa aumentare il cosiddetto tasso di dipendenza strutturale, che indica la percentuale di persone in fasce considerate non produttive (under 15 e over 64) per ogni persona di età nella fascia 15-64anni. Ovvero il rapporto fra chi deve essere assistito e chi può assistere, ovvero chi è in età da lavoro. Con aspetti che riguardano non tanto quelli economici, quanto quelli sociali e sanitari.

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