VOCE
Il caso
24.08.2025 - 12:37
Davvero “più naturale” significa automaticamente “più sano”? Quando si parla di latte crudo e dei suoi derivati, la risposta, purtroppo, è no. Lo ricorda l’ultimo caso dal Bellunese: un bimbo di 15 mesi è ricoverato nella Nefrologia pediatrica dell’Azienda ospedaliera di Padova con una Sindrome emolitico uremica (Seu) dopo aver consumato formaggi a latte crudo. Le sue condizioni sono stabili. Le autorità sanitarie hanno avviato un’indagine a tappeto su alimenti e filiere, mentre dal Ministero arrivano nuove linee guida per ridurre il rischio di infezioni da Escherichia coli produttore di Shiga-tossine (Stec).
Dove è avvenuta la contaminazione? Per ora non c’è una risposta definitiva. “La situazione è sotto controllo e speriamo evolva positivamente”, afferma Sandro Cinquetti, direttore del Dipartimento di Prevenzione dell’Usl Dolomiti. I tecnici hanno prelevato campioni nei locali in cui la famiglia ha mangiato, nei punti di produzione che li riforniscono e anche in alcune feste di paese. Gli esami sono svolti all’Istituto Zooprofilattico delle Venezie, a Padova: un primo referto è negativo, si attendono gli altri. Non si esclude la verifica di ulteriori alimenti a rischio.
La Seu è una complicanza grave, legata a ceppi di E. coli Stec presenti nell’intestino dei bovini e produttori di tossina Shiga: può causare insufficienza renale acuta, con una mortalità tra il 5% e il 15%. Nei bambini piccoli il rischio è maggiore. Il messaggio degli specialisti è netto: la pastorizzazione è una misura di sicurezza, non un capriccio dell’industria.
Secondo il Registro italiano Seu, ogni anno in Italia si segnalano 60-70 casi nella fascia sotto i 5 anni; circa il 15% è legato al consumo di latte crudo e derivati. La cronaca recente lo conferma: una bambina ricoverata a novembre 2024 dopo un formaggio a latte crudo comprato in un market di Cortina, un altro piccolo di 11 mesi infettato nel Bellunese. E il caso simbolo di Mattia Maestri, dodicenne di Trento in coma dal 2017 dopo aver ingerito formaggio a latte crudo: una vicenda che il padre, Giovanni Battista, descrive come un calvario, tra 40 crisi epilettiche al giorno e una dolorosa battaglia legale.
“È circolata la falsa idea che più un prodotto è naturale e più è sano”, osserva Mattia Doria, presidente Fimp Veneto. “Nell’infanzia la dieta va personalizzata: mode come latte di capra o d’asina somministrati ai lattanti sono rischiose, perché le funzioni renali, intestinali ed epatiche non sono ancora mature”. L’invito dei pediatri è a non confondere “fresco” con “sicuro” quando si parla di alimenti non pastorizzati. E, come ricorda il virologo Roberto Burioni, dare latte crudo a bambini e donne in gravidanza “è come andare in auto contromano”.
Per rafforzare la prevenzione, lo scorso luglio il Ministero della Salute ha emanato le “Linee guida per il controllo di Escherichia coli produttori di Shiga-tossine nel latte non pastorizzato e nei prodotti derivati”. Il documento, elaborato dal Tavolo tecnico operativo (gennaio-aprile) con esperti dei Ministeri della Salute e dell’Agricoltura, dell’Istituto superiore di sanità, degli Istituti zooprofilattici — per quello delle Venezie il referente è Andrea Cereser — e delle associazioni di categoria, punta a misure più stringenti: etichetta trasparente con l’indicazione “prodotto a latte crudo” o l’avviso che non se ne può garantire la completa sicurezza, tutela specifica per bambini, anziani e persone immunocompromesse. Un promemoria utile, perché questi prodotti non sono solo in malga: si trovano anche in caseifici, negozi e supermercati. Usl Dolomiti e Zooprofilattico hanno predisposto cartelli di avviso alla popolazione.
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