VOCE
L'indagine
31.08.2025 - 08:13
Una routine interrotta da un colpo di pistola, un uomo a terra, un quartiere attonito. A Fontaniva, in via Casoni Basse, la morte di Fatos Cenaj, 58 anni, non è più un mistero da ricondurre al caso: per gli inquirenti è omicidio volontario, con la pista della vendetta che conduce al passato albanese della vittima. C’è un indagato, e dalle immagini di videosorveglianza alle testimonianze, tassello dopo tassello l’inchiesta ha cambiato direzione, allontanando la tesi dell’incidente.
Non è stato un colpo partito per errore. Gli investigatori, coordinati dal pubblico ministero Maria d’Arpa, escludono ormai ogni altra ipotesi: si tratta di un delitto, secondo una matrice pianificata. La nuova traiettoria delle indagini indica una vendetta maturata lontano dall’Italia. È in questo contesto che gli inquirenti hanno iscritto una persona nel registro per omicidio volontario, nel rispetto della presunzione d’innocenza.
L’8 giugno, come ogni mattina, Cenaj percorreva su un triciclo il breve tragitto da casa al maneggio dove lavorava. Un testimone ha udito uno sparo. Pochi minuti dopo, due guardie pesca hanno trovato il 58enne riverso a terra, agonizzante. In un primo momento si è ipotizzata una caduta. Solo in ospedale, però, i medici hanno individuato un foro da proiettile alla testa. Dopo tre giorni di agonia, l’uomo è morto.
Ex agente penitenziario in Albania, da due anni Cenaj viveva a Fontaniva con la moglie e la figlia. Nel quotidiano era descritto come una persona semplice e disponibile: al maneggio faceva piccoli lavori e si prendeva cura dei cavalli, senza pretese, felice di sentirsi utile. La famiglia, scossa, ha lasciato l’abitazione dopo l’accaduto. “Dopo quello che è successo, hanno preferito trasferirsi da un parente. Avevano paura a rimanere”, racconta una vicina.
Da oltre due mesi i carabinieri del Nucleo investigativo del Comando provinciale di Padova lavorano per ricostruire la dinamica. A imprimere una svolta sarebbero stati i filmati di videosorveglianza della zona e diverse testimonianze di persone che conoscevano Fatos. I militari sono tornati più volte anche al maneggio, senza emergenze di conflitti o minacce legate alla sua vita in Italia. Per questo l’attenzione si concentra sui trascorsi in Albania: le autorità italiane collaborano con quelle albanesi per mappare relazioni, eventuali contenziosi e possibili nemici di vecchia data. Sono state ascoltate più persone, tra familiari, conoscenti e residenti.
Se il quadro investigativo punta con decisione verso un omicidio volontario legato a un “conto in sospeso”, restano da chiarire l’esatto movente, i tempi della premeditazione e ogni dettaglio della catena di esecuzione. È un lavoro di pazienza e incroci documentali che, secondo gli elementi al momento disponibili, ha già chiuso la porta al tragico incidente. La lettura che emerge è coerente con i riscontri oggettivi finora raccolti, ma impone cautela: la ricerca della verità procede, con lo sguardo rivolto al passato di Cenaj e con la tutela di chi, oggi, porta il peso più grande di questa storia.
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