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EUROPA
05.09.2025 - 14:48
Un numero, più di altri, racconta la sfida che l’Europa non può permettersi di perdere: 344 miliardi di euro. È il divario annuale tra ciò che l’Unione dovrebbe investire per centrare gli obiettivi climatici e industriali al 2030 e ciò che realmente spende. Nel frattempo, la bolletta dei fossili cresce, la Cina consolida il suo dominio nelle tecnologie pulite e il consenso sociale vacilla. L’ultimo rapporto dell’Osservatorio Europeo per la Neutralità Climatica (ECNO) suona un campanello d’allarme che riguarda industria, lavoro e sicurezza energetica del continente.
Secondo l’ECNO, partnership che riunisce alcune tra le principali organizzazioni europee di ricerca su clima, governance, economia e finanza, 12 dei 13 “elementi costitutivi” della decarbonizzazione avanzano nella direzione giusta. Ma il ritmo non basta. L’analisi di circa 150 indicatori, confrontati con i parametri ufficiali dell’UE, evidenzia che proprio il settore finanziario procede nella direzione sbagliata, finendo per frenare molti altri ambiti della transizione.
Nel 2023 l’Europa ha speso 498 miliardi di euro per energia, edifici, trasporti e produzione di tecnologie pulite: appena +1,5% rispetto al 2022. Per rispettare la rotta al 2030 servirebbero 842 miliardi l’anno: il climate investment gap è quindi pari a 344 miliardi. In parallelo, i sussidi ai combustibili fossili sono saliti del 19% sul 2022, raggiungendo 242 miliardi di euro.
Il mercato manifatturiero globale delle tecnologie verdi parla cinese: 82% dei moduli fotovoltaici, 65% delle turbine eoliche e 83% delle celle per batterie sono prodotti nella Repubblica Popolare. Per l’Europa ciò si traduce in deficit commerciale su solare e batterie, con l’antico surplus nell’eolico ormai in erosione. “Le iniziative europee vanno nella direzione giusta, ma con risorse insufficienti”, osserva Ciarán Humphreys (ECNO). “I 26 miliardi stanziati per le tecnologie verdi ad alta intensità di capitale rappresentano una goccia nell’oceano rispetto agli investimenti di Stati Uniti e Cina”.
Tra il 2019 e il 2024 le tariffe elettriche per l’industria europea sono cresciute in media del 7,5% l’anno. La principale causa, rileva l’ECNO, è la dipendenza dalle importazioni di combustibili fossili, determinanti per i prezzi all’ingrosso. L’addio al gas russo a basso costo ha spinto verso un maggiore ricorso al gas naturale liquefatto, più caro. Un ulteriore freno per le imprese, come sintetizza Eike Velten, coordinatore dello studio: “Il rapporto Draghi è stato cristallino: il caro energia ha azzoppato la competitività europea. Le rinnovabili sono la via maestra per riconquistare competitività industriale. Alla pressione sui prezzi si aggiunge la vulnerabilità sulle catene del valore. Il deficit europeo nelle materie prime essenziali — litio, platino, silicio — continua ad ampliarsi in mercati dove la Cina detta tempi e condizioni. Una dipendenza che non è solo economica, ma strategica: riguarda batterie, fotovoltaico e idrogeno, cioè il cuore tecnologico della transizione.
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