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L'ANNIVERSARIO

121anni fa nasceva il "re di maggio"

Dalla giovinezza dorata al referendum del 1946

Umberto II, il re di maggio: ascesa, crisi e l’ultimo atto della monarchia italiana

Alle 16 di un pomeriggio di giugno del 1946, un aereo si stacca dalla pista di Ciampino: a bordo c’è Umberto II, l’ultimo re d’Italia, diretto in esilio a Cascais, in Portogallo. Le cronache indicano orari e date leggermente diverse (tra il 12 alle 16.30 e il 13 “poco dopo le 16”), ma la sostanza non cambia: con quel decollo si chiude la storia millenaria della monarchia nella penisola. Era passato appena un mese dall’abdicazione di Vittorio Emanuele III (9 maggio) e pochi giorni dal referendum istituzionale del 2-3 giugno 1946, che con circa due milioni di voti di scarto sancì la nascita della Repubblica. La parabola del “re di maggio” è il racconto di un’eredità pesante, di un carattere educato all’obbedienza e di un tentativo tardivo di salvare un’istituzione logorata da vent’anni di dittatura e da scelte fatali.


Principe di Piemonte, Umberto nasce il 15 settembre 1904 a Racconigi, cresce all’ombra di Vittorio Emanuele III, educato da ammiragli e ufficiali alla severa etichetta sabauda e alla carriera d’armi: Accademia militare di Modena, poi nel 1° Reggimento Granatieri di Sardegna (1922) e quindi al 91° Reggimento di fanteria a Torino. Negli Anni Venti e Trenta è il “le Prince Charmant” dei salotti europei, figura elegante e corteggiata, presenza costante tra Lido di Venezia e palchi dell’alta società. Le cronache mondane gli attribuiscono avventure galanti, compreso un legame chiacchierato con la soubrette Milly.

L’8 gennaio 1930 sposa in Vaticano Maria José del Belgio, davanti a Pio XI. Per le nozze il re concede amnistia e indulto per reati comuni, un provvedimento che tocca oltre 400 mila persone, a testimonianza di come la dinastia provi a parlare al Paese anche con gesti simbolici. Trasferiti per volontà del sovrano a Napoli, Umberto e Maria José sono accolti con calore: qui nascono i quattro figli, Maria Pia (24 settembre 1934), Vittorio Emanuele (12 febbraio 1937), Maria Gabriella (1940) e Maria Beatrice (1943).

Nel Mezzogiorno liberato, gli anglo-americani guardano con diffidenza a Vittorio Emanuele e caldeggiano un passo indietro. Churchill resta, tra i grandi, il più convinto sostenitore della monarchia italiana. Dopo la liberazione di Roma, si trova un compromesso: Umberto diventa Luogotenente del Regno. Da quella posizione, in un clima di tregua istituzionale, affida il governo a Ivanoe Bonomi e include tutte le forze antifasciste. Prova anche a ridare onore alle armi organizzando reparti italiani al fianco della 5ª Armata sul fronte del Volturno e a Montelungo, pur senza poterne assumere il comando diretto. È il suo primo, vero spazio pubblico dopo anni nel cono d’ombra paterno.


Nella primavera del 1946, Vittorio Emanuele è ancora restio all’abdicazione; poi, il 9 maggio, con un colpo di mano che contraddice lo spirito della luogotenenza, lascia la corona al figlio. Umberto imbocca una campagna attraverso l’Italia che sorprende per calore e disciplina: racconta un’idea di monarchia “progressiva”, arbitro super partes capace di frenare gli estremismi e garantire equilibrio parlamentare. Il 2 e 3 giugno, al voto — il primo per milioni di italiani e, per la prima volta, anche per le donne, ammesse sia alle liste elettorali sia alle cariche — la Repubblica prevale con circa due milioni di consensi in più. Il 10 giugno il primo presidente della Corte di Cassazione, Giuseppe Pagano, dà lettura dei risultati, riservandosi un’ulteriore adunanza per decidere su contestazioni e reclami. Quella postilla sospende per ore il Paese in un limbo giuridico e politico. Umberto, che inizialmente sembra accettare il responso, temporeggia nel trasferire i poteri ad Alcide De Gasperi. Gli scontri di piazza, soprattutto a Napoli, convincono il Consiglio dei ministri a conferire a De Gasperi le funzioni di Capo dello Stato per salvaguardare l’ordine. A quel punto il “re di maggio” decide di non opporsi, per evitare la guerra fratricida che molti temono: l’aereo che lo porta a Lisbona apre il lungo esilio di Cascais.

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