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I DATI
18.09.2025 - 11:52
AI ci ruberà il lavoro? Dietro i tagli delle Big Tech c’è più di un algoritmo Dalla Silicon Valley a Bangalore, le Big Tech macinano utili e influenza da veri Stati sovrani. Eppure licenziano a ondate. Solo pochi anni fa lavorare per Google, Meta o Microsoft era il traguardo dei migliori talenti; “impara a programmare” era il mantra di professori, genitori e dello stesso Barack Obama. Oggi la narrativa scricchiola: dopo il boom di assunzioni durante la pandemia, il settore sta ridisegnando le proprie priorità, e l’intelligenza artificiale è uno dei fattori chiave del cambiamento.
Non l’unico. Il nuovo ciclo dei tagli Dopo quasi un milione di assunzioni negli anni del Covid, dal 2022 i colossi tech hanno tagliato centinaia di migliaia di posti, spesso con modalità brusche. Nel 2025 i licenziamenti nel comparto hanno già superato quota 130mila e, di questo passo, potrebbero oltrepassare i 240mila entro fine anno. All’inizio si è parlato di bolla e recessione; oggi è chiaro che l’adozione accelerata dell’AI pesa sulle scelte organizzative. Ma i conti non si spiegano soltanto così.
Chi taglia e perché: Microsoft, Amazon, Dell, Intel, King Intel è il caso da manuale della crisi industriale: 25mila tagli entro l’anno per far fronte a difficoltà ormai conclamate. Diverso il quadro a Redmond: Microsoft cresce negli utili (+24% nell’ultima trimestrale) e vale oltre 3.700 miliardi di dollari, ma dopo 6mila esuberi in maggio ha annunciato altri 9mila tagli a luglio, concentrati soprattutto nel gaming. Obiettivo dichiarato: ridurre burocrazia e livelli gerarchici. Nel frattempo investe miliardi in data center e resta il principale azionista esterno di OpenAI, non senza tensioni. Ufficialmente, l’AI non è indicata come causa diretta dei tagli, ma il riassetto va nella direzione di strutture più snelle e centrate sulle nuove piattaforme.
Amazon, che dal 2022 ha eliminato 27mila posizioni, nega che sia l’AI a guidare gli esuberi. Il suo CEO Andy Jassy ammette però che serviranno “meno persone in alcuni ruoli e più persone in altri”, con un saldo presumibilmente negativo. Dell, pur con bilanci solidi, ha ridotto l’organico di circa 25mila unità in due anni: meno venditori generalisti, più team snelli e iper-specializzati per i sistemi AI, più complessi e redditizi. Ancora più simbolico il caso King (Candy Crush): circa 200 dipendenti sarebbero stati rimpiazzati dal modello di intelligenza artificiale che loro stessi avevano contribuito a sviluppare. India, epicentro di una trasformazione Il terremoto non è solo americano. Tata Consultancy Services, colosso indiano dell’outsourcing IT, ha annunciato 12mila tagli, il ridimensionamento più severo della sua storia. La motivazione ufficiale parla di “disallineamento delle competenze”, ma per molti analisti è il segnale che l’AI rende superflue alcune mansioni. Le più esposte: manager “puri”, addetti a debug, test e usability, tecnici di rete e server. In India il settore IT è stato un ascensore sociale: occupa 5,67 milioni di persone e ha contribuito a creare la classe media. Ora 400-500mila lavoratori rischiano la disoccupazione nei prossimi due-tre anni. Non tutto è (solo) colpa dell’AI Il mercato del lavoro tech si sta raffreddando: le offerte sono in calo di oltre un terzo rispetto al 2020. Ma sarebbe riduttivo leggere ogni taglio come sostituzione diretta uomo-macchina. In diversi casi le aziende riducono il personale per finanziare le infrastrutture necessarie all’AI, dai data center alla potenza di calcolo, o per correggere l’overhiring della pandemia. L’effetto AI esiste, ma si intreccia con cicli economici, strategie industriali e riallocazione interna delle competenze. Cambia l’ascensore del “learn to code” Anche il mito del “basta saper programmare” vacilla. Tra i neolaureati in informatica negli Stati Uniti, il tasso di disoccupazione supera il 6%, circa il doppio rispetto a coetanei con lauree in biologia o storia dell’arte. Non è che il software non serva più: è che alcuni strati del lavoro di sviluppo (test, correzione, routine ripetitive) vengono compressi dagli strumenti generativi e di automazione, mentre cresce il valore di ruoli ibridi, capaci di orchestrare sistemi complessi, dati, modelli e infrastrutture. Allora l’AI ci ruba il lavoro? L’intelligenza artificiale sta già eliminando alcune mansioni, riducendone altre e creando nuovi fabbisogni in aree più specialistiche. Il saldo, oggi, pende verso la riduzione netta di posti in molte aziende, soprattutto dove l’AI consente automazioni immediate o dove servono capitali per l’infrastruttura.
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