VOCE
LO STUDIO
20.09.2025 - 09:45
Il dodo, il grande uccello incapace di volare scomparso circa quattro secoli fa e diventato emblema delle estinzioni, potrebbe non essere più soltanto un ricordo. Colossal Biosciences, società biotecnologica di Dallas specializzata in progetti di de‑estinzione, afferma di aver compiuto un progresso importante: i suoi ricercatori sono riusciti per la prima volta a far crescere in coltura le cellule germinali primordiali (PGC) del comune piccione di città.
L’obiettivo è replicare l’impresa con il piccione delle Nicobare (Caloenas nicobarica), il più stretto parente vivente del dodo. Le PGC sono le cellule progenitrici di ovociti e spermatozoi: controllarle e modificarle è il punto di partenza per trasmettere cambiamenti genetici alla prole.
Secondo l’azienda, queste tecniche potrebbero consentire di inserire, nelle PGC del piccione delle Nicobare, tratti genetici ricavati dal genoma del dodo ricostruito a partire da campioni museali. Colossal non vuole “clonare” animali perduti, ma ricrearne un equivalente biologico intervenendo sul genoma dei loro parenti ancora in vita per restituirne aspetto e comportamento. In passato, la società ha mostrato un prototipo di “enocione” ottenuto modificando cellule di lupo grigio; il genoma risultante è però quasi sovrapponibile a quello del lupo, e il cofondatore George Church ha spiegato che l’obiettivo a lungo termine è avvicinarsi al profilo genetico completo dell’animale estinto.
Con gli uccelli, tuttavia, il percorso è più complesso che nei mammiferi. Non essendo possibile applicare le stesse tecniche di clonazione, lo sviluppo avviene nell’uovo e richiede di creare separatamente linee germinali maschili e femminili e poi incrociarle per ottenere le due copie dei geni da modificare. Come ha sottolineato Beth Shapiro, ciò rende i tempi inevitabilmente lunghi.
Il piano per il dodo prevede quindi: coltivare le PGC del piccione delle Nicobare, introdurvi modifiche basate sulle informazioni genomiche del dodo e, attraverso riproduzioni successive, far emergere combinazioni di tratti sempre più vicine a quelle dell’animale scomparso.
Molti esperti, però, invitano alla cautela. Secondo diversi ricercatori, non si può davvero “resuscitare” una specie: al massimo si ottiene un organismo attuale ingegnerizzato con alcuni geni antichi. Oltre al DNA, infatti, contano l’interazione con l’ambiente, gli ormoni e i processi di sviluppo, che determinano quando e come i geni si accendono o si spengono. Per questo, osserva Scott MacDougall‑Shackleton (Western University, Ontario), parlare di de‑estinzione rischia di essere un’iperbole.
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