VOCE
adria
22.09.2025 - 18:30
Il suo orsacchiotto, i suoi pupazzi sul feretro e, a fianco, una grande foto che lo ritrae sorridente e splendido.
Adria si è fermata ieri pomeriggio, 22 settembre, in un silenzio composto e irreale. La cattedrale dei Santi Pietro e Paolo non è mai sembrata così grande eppure così colma, gremita di cittadini, amici, parenti e autorità civili e militari che hanno voluto stringersi attorno a una madre ferita nel corpo e nell’anima, e che nel giorno in cui il piccolo Mattia Restuccia avrebbe compiuto 7 anni si è trovata a dargli l’ultimo saluto.
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La vicenda che ha straziato la città ha avuto inizio venerdì 12 settembre, quando Genny, la mamma di Mattia, era in sella alla sua bicicletta, ferma al semaforo all’incrocio tra via Peschiera e via Emanuele Filiberto. Dietro di lei, nel seggiolino, il bambino. Un’immagine di quotidiana normalità, di fiducia e protezione, come quella che tanti genitori vivono ogni giorno. Ma il destino ha deciso diversamente. Una Saab nera, condotta da un settantenne di Cavarzere e diretta verso Rovigo, ha - secondo le prime ricostruzioni - travolto la bicicletta, facendo cadere violentemente madre e figlio sull’asfalto.
Le indagini avrebbero poi rivelato che quell’auto non avrebbe nemmeno dovuto circolare: sarebbe stata, infatti, secondo le attuali ricostruzioni della polizia locale, senza assicurazione e guidata da un uomo già privo di patente. Per Mattia l’impatto è stato devastante. Trasportato in elisoccorso a Padova, le sue condizioni sono apparse subito disperate. Nei giorni successivi la speranza si è spenta del tutto: la dichiarazione di morte cerebrale ha segnato l’epilogo più crudele. Enormi e ammirevoli il coraggio dimostrato della madre, che, pur nell'abisso del dolore, ha acconsentito alla donazione degli organi, perché la vita di Mattia potesse continuare in altri bambini.
Una tragedia che si somma a un'altra, perché solo quattro mesi fa la stessa famiglia aveva perso il padre del piccolo, Pasquale, portato via da una grave malattia oncologica. La cerimonia funebre, celebrata in una giornata di lutto cittadino proclamato dal sindaco Massimo Barbujani, ha visto la città intera raccogliersi sotto un cielo incerto di inizio autunno. In tanti hanno voluto essere presenti: amici, conoscenti, compagni di scuola, ma anche semplici cittadini, uniti dallo stesso bisogno di condividere un dolore che non è solo privato, ma collettivo.
Il rito, celebrato da don Fabio Finotello insieme a don Nicola Brancalion e don Nicolò Gradesso, ha visto parole di struggente intensità, capaci di dare voce a un’intera comunità. “Mattia poteva essere chiunque di noi – ha detto don Fabio – Se non abbiamo potuto difendere la sua vita, allora potevamo morire tutti. La sua caduta ha lasciato un vuoto che nessuna parola potrà mai colmare”. Il sacerdote ha descritto la tragedia con immagini forti e poetiche, paragonando il piccolo a un fiore di campo travolto dal vento: “Mattia, vorremmo prolungare la braccia di tua mamma e cantarti una ninna nanna”. E ancora, rivolgendosi alla comunità: “Oggi è il giorno in cui dobbiamo ricominciare da zero, imparare di nuovo a essere città. È il giorno in cui possiamo smettere di sentirci grandi e tornare bambini, perché dei bambini e di chi è come loro è il Regno di Dio”. Parole che hanno attraversato la navata come un brivido. Sul sagrato, a conclusione della cerimonia, la scena più struggente: dalle mani di mamma Genny si sono levati in cielo dei palloncini bianchi, simbolo di un amore imperituro che non si spezza e di un’anima che ora vola libera, forse verso le stesse gioie infantili che la vita gli ha tolto troppo presto.
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