VOCE
Inquinamento
23.09.2025 - 20:31
Dopo un inverno sostanzialmente meno pesante del solito dal punto di vista del Pm10, l’estate appena conclusa ha invece riservato una brutta sorpresa sul fronte dell’ozono, un inquinante molto pericoloso i cui effetti vanno dall’irritazione alla gola ed alle vie respiratorie al bruciore degli occhi, mentre concentrazioni più elevate possono comportare alterazioni delle funzioni respiratorie ed aumento nella frequenza degli attacchi asmatici, soprattutto nei soggetti sensibili. L’ozono è anche responsabile di danni alla vegetazione ed ai raccolti. Ecco, su questo fronte negli ultimi mesi non è affatto andata bene. Nemmeno a Rovigo che, storicamente non è nemmeno una delle aree più a rischio per questo inquinante. Come sottolinea Legambiente Veneto, per l’inquinamento da ozono “anche l’estate 2025 si chiude con livelli fuori controllo in quasi tutta la pianura padano-veneta”.
Purtroppo, Rovigo fa la propria parte: il numero dei superamenti della soglia di informazione oraria, fissata a 180 microgrammi per metrocubo d’aria, “oltre la quale – scrive Arpav - vi è un rischio per la salute umana in caso di esposizione di breve durata per alcuni gruppi particolarmente sensibili della popolazione ed il cui raggiungimento impone di assicurare informazioni adeguate e tempestive” quest’estate sono stati 5. E anche se può sembrare un numero ridotto, si tratta della 18esima posizione nella classifica nazionale, insieme ad Alessandria e Venezia. I superamenti della soglia di informazione, precisa Legambiente, “hanno riguardato 27 dei 36 capoluoghi delle quattro regioni: Bergamo resta la città che ne ha subito in maggior numero (ben 72 fino al 31 agosto), ma i capoluoghi colpiti con maggiore frequenza sono tutti quelli della Lombardia Occidentale (Bergamo, Lecco, Milano, Varese, Pavia, Monza, Cremona, Como e Lodi), insieme a quelli delle confinanti province emiliane (Piacenza, Modena, Parma e Reggio) e piemontesi (Novara e Asti)”.
Per quanto riguarda, invece, la “soglia obiettivo a lungo termine”, fissato per la protezione della salute umana a 120 microgrammi per metrocubo d’aria, da non superare per più di 25 giorni per anno, anche se con l’entrata in vigore della nuova direttiva europea sull’inquinamento il numero di superamenti scenderà a 18 come obiettivo al 2030, e a 0 come obiettivo al 2050, a Rovigo gli sforamenti sono passati dai 38 dell’anno scorso ai 50 di quest’anno. E se è vero, purtroppo, che nel 2023 erano stati addirittura 72, va detto anche che il problema non riguarda soltanto il capoluogo. In attesa del dato validato relativo a quest’estate, l’anno scorso gli sforamenti registrati da Arpav sono stati 12 ad Adria e 51 a Badia Polesine, mentre nel 2023 23 ad Adria e 53 a Badia Polesine. Il dato più alto del Veneto nel 2024 sono stati i 94 sforamenti di Asiago. Quest’anno, fra i capoluoghi del Nord, svettano Bergamo con 77, Lecco con 71 e Piacenza con 67, davanti a Milano con 60. Rovigo è al 14esimo posto, prima in Veneto in questa purtroppo nient’affatto rincuorante classifica.
Quest’estate, nota Arpav, è stata “calda e piovosa”, con un giugno molto caldo e i due mesi successivi più vicini alla media, seppur con forti oscillazioni tra periodi freddi e ondate di caldo. Le precipitazioni si sono concentrate in pochi episodi con rovesci e temporali anche di forte intensità, soprattutto in luglio e agosto anche se il Polesine è stato generalmente risparmiato con quantitativi persino inferiori alle medie. Non dal caldo, che invece ha fatto registrare anomalie al rialzo soprattutto in Alto Polesine e sulla costa. Le temperature medie registrate sono in linea con quelle dell’ultimo decennio ma con un’anomalia di +1,2 gradi rispetto alla media 1991–2020. Le temperature minime estive sono le seste più alte dal 1992, con un’anomalia di +1,5 gradi.
“La stagione calda - evidenzia Legambiente - è quella in cui gli inquinanti atmosferici, per effetto della radiazione solare, reagiscono tra loro dando luogo alla formazione dello smog fotochimico: un mix di sostanze disperse nell’aria che respiriamo, la più tossica delle quali, l’ozono, è una forma altamente instabile dell’ossigeno, in grado di determinare danni alle mucose respiratorie e in generale ai tessuti di tutti gli organismi viventi, vegetali inclusi: l’Agenzia europea dell’ambiente stima almeno 2 miliardi all’anno di danno economico dovuto all’effetto dell’ozono sui raccolti agricoli. Per quanto riguarda la salute umana, alla tossicità dell’ozono vengono correlate 70mila morti premature in Europa, di cui 13mila in Italia. Ancora una volta le aree più colpite dall’inquinamento sono quelle della Pianura padana, area più inquinata d’Europa secondo l’Eea”.
Nonostante questo, “a differenza di altri inquinanti, da anni in lenta riduzione, per l’ozono il miglioramento è ancora fuori dai radar. La spiegazione va ricercata nei precursori della formazione dell’ozono. Tra questi vi sono gli inquinanti da traffico, soprattutto gli ossidi di azoto, che sono effettivamente in riduzione, ma anche il metano, le cui concentrazioni sono in aumento, sia per le perdite legate alle estrazioni e alla distribuzione di combustibili fossili e in particolare di gas naturale, sia per le emissioni di fonte agricola e dalle discariche di rifiuti. In Pianura padana a prevalere sono le emissioni legate agli allevamenti bovini e alla gestione dei liquami zootecnici”.
Per questo Luigi Lazzaro, presidente di Legambiente Veneto e coordinatore della campagna nazionale di Legambiente “Fattore biometano”, rimarca: “Cresce sempre più l’evidenza del ruolo del metano non solo come potente gas climalterante, ma anche come inquinante atmosferico. Per questo occorre invertire la crescita delle emissioni atmosferiche di questo gas, ciò che l’Italia si è impegnata a fare firmando il Global Methane Pledge nel 2021. E’ sempre più urgente il superamento delle fonti fossili, gas metano incluso, ma occorre anche ridurre le emissioni agricole che per l’Italia sono prioritarie. Per farlo occorre migliorare la gestione dei tanti, troppi, allevamenti intensivi della Pianura padana a partire da una gestione e redistribuzione in campo sempre più efficiente dei reflui zootecnici, attraverso gli impianti di digestione anaerobica per la produzione di biometano agricolo”.
Sul fronte ozono, Lazzaro nota: “In Veneto la situazione degli sforamenti puntuali appare meno allarmante rispetto alle altre regioni, ma siamo ancora lontani dai valori obiettivo attuali per la tutela della salute e ancora più in ritardo rispetto agli obiettivi 2030. La sfida per l’aria pulita non può vederci abbassare la guardia. Serve un impegno costante nell’applicazione di azioni sempre più coordinate tra le Regioni del Nord-Italia, per abbattere le concentrazioni di tutti gli inquinanti che sono precursori dell’ozono, consapevoli che l’aria non ha confini e che il ristagno degli inquinanti in atmosfera, nelle nostre condizioni orografiche, può avere gravi conseguenze per la salute”.
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