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CASSAZIONE

"Cicciona fai schifo"

Confermata la condanna d'appello a un padre

Body shaming in famiglia, la Cassazione: ripetuti insulti sono maltrattamenti

Parole che feriscono possono lasciare cicatrici profonde. Lo ricorda la Corte di Cassazione che, con una sentenza del 15 settembre, ha confermato la condanna pronunciata dalla Corte d’appello di Venezia nei confronti di un padre che avrebbe rivolto alla figlia di 11 anni epiteti ripetuti e umilianti sul suo corpo. Per i giudici, anche in assenza di violenza fisica, la reiterazione di espressioni denigratorie verso un familiare integra il reato di maltrattamenti.


La Suprema Corte chiarisce un principio destinato a fare giurisprudenza: gli epiteti denigratori ripetuti nel tempo, rivolti a un congiunto, possono costituire maltrattamenti. Non conta soltanto il contenuto della singola frase, ma la sua sistematicità, il contesto familiare e l’effetto mortificante sulla vittima, tanto più se minorenne. 
Nel caso esaminato, l’uomo avrebbe apostrofato la figlia con frasi come «cicciona, fai schifo» e «susciti repulsione in me e in chi ti guarda». La Corte d’appello di Venezia lo aveva riconosciuto responsabile e la Cassazione, con la decisione del 15 settembre, ha confermato quella pronuncia. 

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