VOCE
CRONACA
14.10.2025 - 22:30
L’Italia custodisce un tesoro nascosto, spesso ignorato: un territorio costellato di miniere, oltre 3.000 siti minerari, tra cui 51 miniere aurifere commerciali. La maggior parte si trova nel Nord alpino, ma c’è anche un sito sorprendentemente lontano, nel cuore della Sardegna.
Tra le miniere storiche più celebri spicca Pestarena, a Macugnaga, ai piedi del Monte Rosa. Qui, nei suoi filoni auriferi, lavorarono generazioni di minatori, fino al tragico incidente del 1961 che costò la vita a quattro uomini. Nonostante le attività siano sospese da decenni, le concessioni rimangono formalmente valide fino al 2050. Poco distante, la miniera della Guia rappresenta il primo sito italiano di estrazione industriale dell’oro, risalente al 1710, ma con reperti che testimoniano la conoscenza dei giacimenti già in epoca romana.
In Valle d’Aosta, a Chamousira Brusson, l’oro si nascondeva all’interno di vene di quarzo, incastonate nelle rocce metamorfiche della Val d’Ayas. Qui, le miniere hanno scritto la storia dell’estrazione alpina, alternando periodi di grande produttività a fasi di abbandono.
E poi c’è la Sardegna, con la miniera di Furtei, l’unica aurifera fuori dalle Alpi. Scoperta tra il 1988 e il 1991, ha prodotto circa 5 tonnellate di oro, insieme a migliaia di tonnellate di argento e rame, prima di chiudere definitivamente nel 2009.
Ma perché oggi l’oro italiano non brilla più? La risposta è semplice e crudele: il contenuto di metallo prezioso per tonnellata di roccia è troppo basso, molte miniere si trovano ad altitudini proibitive, e i rischi ambientali legati all’uso di arsenico e cianuro, uniti a normative più severe e procedure di autorizzazione lunghe, rendono l’estrazione economicamente insostenibile.
Oggi, queste miniere sono silenziose testimoni di un passato d’oro: alcune abbandonate, altre in fase di bonifica, altre ancora trasformate in musei, dove la storia delle mani che scavavano tra le rocce e dei sogni d’oro può ancora essere raccontata.
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