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CRONACA

Olivetti Programma 101 compie 60 anni

La “Perottina”, primo computer italiano, tra innovazione e mito

Olivetti Programma 101 compie 60 anni

Nel 1965 Olivetti presentava a New York la Programma 101 (P101), chiamata poi “Perottina” dal nome dell’ingegnere Pier Giorgio Perotto, considerata il precursore del personal computer. A differenza dei computer dell’epoca, grandi armadi di ferraglia, la P101 era compatta, semplice, programmabile e pensata per la scrivania di un ufficio.

Innovazione e genio italiano
Progettata da Perotto insieme a Giovanni De Sandre, Gastone Garziera e Giancarlo Toppi, la P101 pesava 35 chili, era dotata di stampante integrata e di un linguaggio facile da usare con 120 istruzioni e 15 funzioni. La vera rivoluzione stava nella cartolina magnetica, memoria esterna portatile che anticipava il concetto di floppy disk, permettendo di salvare e rielaborare programmi e dati.

Successo internazionale
Alla presentazione americana, la macchina stupì il pubblico: veniva percepita come magica, capace di eseguire calcoli e giochi logici senza alcun computer nascosto. Messa in vendita a 3.200 dollari, fu un successo tra piccoli imprenditori e uffici: 44mila esemplari venduti, il 90% negli Stati Uniti. La Nasa la impiegò nelle missioni Apollo, e Hewlett-Packard copiò il modello Hp 9100A pagando royalties a Olivetti. Il MoMA la celebrò come capolavoro di design industriale.

Il design umano di Mario Bellini
Perotto affidò il design a Mario Bellini, che unì tecnologia e funzionalità, creando un oggetto elegante e intuitivo. Questo approccio colpì anni dopo Steve Jobs, influenzando il design dei prodotti Apple.

L’Italia e l’occasione mancata
Nonostante il successo internazionale, in Italia la macchina suscitò diffidenza: Olivetti non comprese subito il potenziale della P101. Solo nel 1967 l’azienda iniziò seriamente il percorso nell’elettronica, ma ormai il vantaggio competitivo era perso.

Oggi, a sessant’anni dal debutto, la Programma 101 è un cimelio da museo, simbolo di un’Italia che inventò il futuro, lasciando però una lezione: il talento non basta se non c’è visione industriale e capacità di valorizzarlo.

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