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CRONACA

I fratelli Ramponi accusati di strage

Dieci anni di crisi fino all’esplosione di Castel d’Azzano

I fratelli Ramponi accusati di strage

Sono accusati di strage i fratelli Franco, Dino e Maria Luisa Ramponi, che nella notte tra il 13 e il 14 ottobre, alle 3.15 del mattino, hanno fatto esplodere il loro casale di Castel D’Azzano, in provincia di Verona. La deflagrazione, causata da una scintilla in un soppalco saturo di gas, è avvenuta durante un’operazione di sfratto e ha provocato la morte di tre carabinieri e il ferimento di 25 persone, tra militari, poliziotti e vigili del fuoco. La Procura di Verona, guidata da Raffaele Tito, ha formulato la nuova ipotesi di strage, aggravando la posizione dei tre sessantenni, già indagati per omicidio volontario plurimo con premeditazione. A loro carico anche i reati di detenzione di esplosivi, crollo e lesioni gravissime. Gli interrogatori di garanzia sono previsti per domani.

La vicenda dei Ramponi affonda le radici nel gennaio 2012, quando un incidente stradale a Trevenzuolo costò la vita a Davide Meldo, 37 anni. L’auto della vittima prese fuoco dopo lo schianto contro un trattore guidato da uno dei fratelli Ramponi. Il processo, lungo e complesso, si concluse con una condanna per il conducente. L’assicurazione non intervenne, poiché il trattore circolava a fari spenti, e il risarcimento ricadde interamente sui tre fratelli. Per far fronte ai debiti, vendettero alcuni terreni e nel 2014 chiesero un prestito alla banca, di importo mai chiarito – tra 50mila e 240mila euro – cui si aggiunse un finanziamento per un frutteto.

Negli anni successivi la situazione economica e giudiziaria precipitò. La banca non ricevette i pagamenti dovuti e i Ramponi sostennero che le firme sui contratti fossero false, accusandosi a vicenda. Gli accertamenti giudiziari confermarono invece la validità dei documenti. Con il passare del tempo si accumularono cause, bolli e spese legali non pagate, fino all’intervento diretto del giudice. I campi di famiglia, ereditati dai genitori, furono divisi e pignorati: una parte venduta, un’altra – con il casolare – destinata all’asta il 25 ottobre, per un valore stimato di 140mila euro, e una terza rimasta ai fratelli.

Nel 2021 iniziarono le prime minacce. Franco e Dino Ramponi si presentarono in tribunale, salirono sul tetto e minacciarono di gettarsi nel vuoto. Seguì un lungo periodo di irreperibilità. Nell’ottobre 2024, durante un tentativo di sfratto, Franco e Maria Luisa accesero bombole di gas e minacciarono di farsi esplodere. Da allora gli episodi si ripeterono: un mese dopo, alla nuova visita dell’ufficiale giudiziario, i fratelli si barricarono sul tetto; nel febbraio 2025 tornarono a usare bombole e bottiglie molotov, rivolgendosi direttamente al funzionario: «Ti facciamo esplodere».

L’11 ottobre 2025 era prevista la nuova esecuzione di sfratto. I carabinieri sorvolarono l’area con droni per individuare eventuali esplosivi, e dalle immagini furono notate molotov sul tetto. Il Comune di Castel D’Azzano aveva nel frattempo offerto ai Ramponi una casa in montagna, con spazio per i loro animali: un’alternativa che i tre rifiutarono. La notte del 14 ottobre, durante la perquisizione e l’ingresso dei militari, Franco e Dino si trovavano in una cantina, mentre Maria Luisa era nella casa, con l’accendino in mano. «Di andarsene in montagna non se ne parla, costi quel che costi», avrebbe detto pochi istanti prima della scintilla che ha distrutto tutto.

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