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Google AI Mode

L’inizio della fine del web

La nuova ricerca basata su intelligenza artificiale promette comodità e velocità, ma rischia di svuotare Internet

L’inizio della fine del web

La nuova modalità AI Mode di Google segna un punto di svolta nel destino del web. Le ricerche basate su intelligenza artificiale aprono possibilità immense, ma rischiano di alterare profondamente la natura di Internet, impoverendo l’esperienza dell’utente e trasformando la rete in uno spazio dominato dalle macchine.

Google, da sempre protagonista nello sviluppo dell’intelligenza artificiale, ha introdotto AI Mode, l’evoluzione di AI Overviews. Quest’ultima, lanciata nel 2024, sostituiva gli estratti tradizionali con risposte generate dall’AI. Con AI Mode, però, la trasformazione è più radicale: le risposte generate dall’intelligenza artificiale occupano la parte centrale della pagina, mentre i link vengono relegati a una colonna laterale e ridotti a semplici fonti di riferimento.

Secondo Google, AI Mode serve a gestire domande complesse e attività articolate come pianificare un viaggio o interpretare istruzioni. Il sistema scompone le query in più sottotemi e svolge numerose ricerche simultanee, offrendo un risultato ragionato e personalizzato. A differenza dei chatbot come ChatGPT o Gemini, l’obiettivo di AI Mode è restare integrato nel motore di ricerca e migliorare la ricerca informativa tradizionale.

Tuttavia, dietro questa innovazione si nascondono rischi significativi. Le allucinazioni dei modelli linguistici, cioè la generazione di informazioni errate, restano un problema irrisolto. Inoltre, la navigazione perde la sua natura esplorativa: invece di scoprire contenuti inaspettati, l’utente riceve risposte preconfezionate e filtrate algoritmicamente. La libertà e la varietà del web vengono sostituite da un’esperienza più omogenea e controllata.

Le conseguenze economiche potrebbero essere devastanti. Con AI Mode, Google utilizza i contenuti delle testate online per generare risposte senza restituire traffico. Il patto implicito del web – visibilità in cambio di contenuti – rischia di essere infranto. Poiché il 90% delle ricerche online passa da Google, l’impatto per editori, blogger e piccoli creatori di contenuti potrebbe essere drammatico. Secondo le analisi, già oggi il 60% delle ricerche avviene senza clic su link esterni, e la percentuale di traffico verso i siti web è calata di oltre il 30%.

Se AI Mode diventasse la modalità di ricerca predefinita, l’intero ecosistema informativo potrebbe collassare. Le entrate pubblicitarie diminuirebbero drasticamente e la produzione di contenuti indipendenti risulterebbe sempre meno sostenibile. Giornalisti, divulgatori e creatori digitali vedrebbero ridursi il pubblico e, con esso, le risorse economiche necessarie a continuare il proprio lavoro.

Questo scenario conduce al cosiddetto machine web, un Internet popolato principalmente da intelligenze artificiali. In una rete simile, le pagine non sarebbero più scritte per gli esseri umani ma per i modelli linguistici, che ne estrarrebbero e riscriverebbero i contenuti. Gli utenti riceverebbero solo riassunti sintetici e versioni semplificate della realtà, perdendo il contatto diretto con le fonti originali.

Il paradosso è evidente: le stesse AI che si nutrono dei contenuti del web rischiano di distruggerne la linfa vitale. Poiché le macchine non cliccano sulle pubblicità, chi finanzierà la produzione di informazioni? Alcuni colossi, come Amazon o OpenAI, hanno già stretto accordi economici con grandi testate come il New York Times, ma questi contratti restano un privilegio per pochi. Le realtà più piccole, che costituiscono la vera ricchezza del web, rischiano di scomparire.

Solo una regolamentazione equa o sistemi di ricompensa automatizzati, forse basati su blockchain, potrebbero garantire una distribuzione più giusta del valore. Mantenere vivo il world wide web è un interesse comune: degli utenti, dei creatori di contenuti e persino delle intelligenze artificiali stesse.

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