VOCE
il caso
20.10.2025 - 21:11
Nonostante un investimento iniziale superiore a 600 milioni di euro e le aspettative di 3.000 migranti transitanti ogni anno, il progetto italiano di trasferire migranti irregolari in centri costruiti in Albania si è rivelato un fallimento. A un anno dall’apertura, i dati parlano chiaro: solo 150 migranti sono passati da queste strutture, mentre i rimpatri effettuati sono stati appena 32. La capacità dei centri, come quello di Gjader che può ospitare fino a 400 persone, è rimasta quasi inutilizzata, con una media di poco più di una dozzina di presenze contemporanee.
Il modello, presentato come innovativo e supportato anche dall’Unione Europea, ha incontrato ostacoli giuridici, con le corti europee e italiane che hanno spesso impedito la permanenza dei migranti in Albania, costringendoli a tornare in Italia dopo poche ore. Nel tentativo di superare queste difficoltà, il governo ha modificato le normative italiane, trasformando i centri da semplici hotspot di breve permanenza in luoghi di trattenimento per il rimpatrio. Tuttavia, questo cambiamento ha portato a risultati minimi in termini di effettivi rimpatri.
I costi del progetto sono esorbitanti: si stima una spesa quotidiana di circa 114.000 euro, che in un anno si traduce in circa 41 milioni di euro, una cifra enorme rispetto ai 56 milioni spesi in tre anni per tutti i centri di permanenza italiani. La presenza delle forze dell’ordine, inizialmente prevista con un numero elevato di agenti penitenziari per un carcere mai attivato, ha alimentato ulteriori critiche, soprattutto per le condizioni di lavoro precarie e la mancanza di risposte da parte delle autorità competenti.
Infine, la questione dei diritti umani rimane aperta: nonostante strutture moderne e personale disponibile, diversi osservatori e rappresentanti politici denunciano violazioni degli standard europei sull’accoglienza e il trattamento dei migranti.
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