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Il dramma

Una nuova vita finita troppo presto

Elena cittadina italiana da 20 giorni. Nicolae lavorava a Ferrara, Alina aveva solo 28 anni

Una nuova vita finita troppo presto

Un sonno senza risveglio per Nicolae Balanuta, 51 anni, la moglie Elena, 47 anni, e la loro figlia Alina, di 28. E anche per il loro gattino. Una tragedia silenziosa, provocata, secondo quello che risulta dai primi accertamenti, da un avvelenamento da monossido di carbonio dovuto a un malfunzionamento dell’impianto di riscaldamento.

Un dramma muto scoperto in una notte ammantata dalla nebbia, a ridosso dell’argine del Po. La famiglia, trovata senza vita a letto, viveva infatti in via Battisti, nella piccola frazione di Paviole, una dozzina di case in tutto e due grandi ville, vestigia di un tipico insediamento rurale polesano che ora ospita prevalentemente immigrati.

Anche la famiglia Balanuta veniva da lontano, dalla Moldavia, anche se ormai erano italiani, Elena aveva ottenuto la cittadinanza proprio venti giorni fa, mentre la figlia già da quattro anni. Il padre era alla fine dell’iter. Vivevano qui da oltre 20 anni, felicemente integrati. E da circa sei anni si erano stabiliti in quella casa, rimessa a posto con le risorse che può avere una famiglia monoreddito. Perché Elena non lavorava e Alina aveva appena trovato occupazione in Polesine. Papà Nicolae invece lavorava in provincia di Ferrara, in una ditta di imballaggi di rifiuti. E sono stati proprio i suoi colleghi, preoccupati per l’assenza protrattasi da lunedì senza alcun preavviso e con il telefono muto, a dare l’allarme.

“E’ un grande dolore, sono molto dispiaciuta - commenta commossa la vicina di casa Franca Merlarati - Erano brave persone, spesso mi fermavo a parlare con Elena. Parlavamo del più e del meno. Il loro gatto veniva nel mio giardino e gli davo da mangiare: anche io ho un gatto, e mangiavano insieme. Non li vedevo da diversi giorni, ma ho un problema a una gamba ed era un po’ che non uscivo di casa. Ogni tanto li vedevo passare, mi salutavano. Tra noi c’erano rapporti di buon vicinato. Non doveva succedere”.

Un altro vicino, trasferitosi a Paviole da poche settimane, spiega di averli visti passare ma che non aveva fatto la loro conoscenza. “Gente tranquilla e rispettosa”, commenta un altro. “Non ci parlavamo spesso, ma li vedevo passeggiare insieme. Sembravano una famiglia serena, come tante altre”. Una vita ricominciata in una nuova terra. Costruita giorno dopo giorno. E terminata bruscamente.

Il sindaco Alberto Davì non nasconde il proprio dolore per la tragedia che ha colpito pesantemente la sua comunità: “Un terribile incidente. Questa tragedia lascia senza parole, mi rattrista profondamente e con me tutta la comunità. Erano brave persone, molto a modo, per bene, lavoratori seri. La mamma il 4 ottobre era venuta in municipio per il giuramento per la cittadinanza e anche il padre era in attesa di concludere le procedure per ottenerla. La figlia, invece, era cittadina italiana dal 2021. Non si vedevano molto in paese, abitavano qui dal 2019. La famiglia, di origine moldava, che avevo conosciuto in occasione dell’ottenimento della cittadinanza italiana, si era felicemente integrata nella nostra comunità, ed era molto apprezzata per gentilezza e bontà”.

Don Mario Turatti, per anni parroco a Canaro, commenta: “Mi unisco alla comunità civile e cristiana di Canaro per esprimere il mio dolore per la tragica morte di tre familiari venuti dalla Moldavia a cercare una nuova vita. Io non ho fatto in tempo a conoscerli, ma voglio partecipare al dolore di Canaro per questa immane tragedia, avvenuta prima delle festività di tutti i Santi e della commemorazione dei nostri fedeli defunti. Assicuro la mia preghiera per i parenti e per la comunità di Canaro cosi duramente sconvolta”.

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