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Da Patrizia a Greta, gialli irrisolti

Fra i cold case più eclatanti il rapimento e l’uccisione della 13enne di Granzette nel 1976

Scomparsa di Greta Spreafico: La Procura chiede l'archiviazione

Una nuova speranza per i delitti irrisolti del passato. E in Polesine, di gialli senza risposte, ce ne sono più d’uno. Fra i più eclatanti, uno che risale a quasi mezzo secolo fa e che fa ancora venire i brividi. Chi c’era allora, non se l’è dimenticato.

Il nome con il quale vengono etichettate queste vicende in gergo è “cold case”, casi freddi, e sono quei delitti che rimangono lì, congelati, in attesa che qualche nuovo elemento successivo possa dare una svolta e un nuovo impulso ad indagini rimaste impantanate. Martedì è stata una giornata a suo modo storica per il Tribunale di Rovigo, proprio per la possibile soluzione ad uno del cold case più efferati ed avvolti dal mistero: il duplice omicidio del 28 giugno del 1998 al chiosco “Ai Casoni di Elisea e Arnaldo”, affacciato sulla spiaggia libera di Rosolina Mare, all’interno del quale la titolare Elisea Marcon, 59 anni, residente a Paese, fu trovata senza vita in un lago di sangue, stesa vicino al letto, in slip e reggiseno, col cranio fracassato, mentre la figlia adottiva, Cristina De Carli, 25 anni, agonizzante nella cucina, anche lei brutalmente colpita alla testa, tanto da provocarle la morte qualche giorno dopo. A 27 anni di distanza è arrivato il rinvio a giudizio di un 47enne di nazionalità ceca, in ipotesi accusatoria “Karl il lavapiatti”, che aveva fatto perdere proprie tracce proprio all’alba di quel giorno. Il “match” del Dna è avvenuto con un mozzicone di sigaretta trovata nella Fiat Argenta di Elisea usata per la fuga. Il processo si aprirà il 13 marzo.

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Non si tratta però dell’unico delitto che a distanza di anni rimane senza un colpevole. Il più eclatante risale a quasi 50 anni fa, al 15 aprile del 1976, quando la giovanissima Patrizia Tomasini, di appena 13 anni, fu rapita a Granzette e poi trovata senza vita il 28 aprile a Sarzano, in uno scolo senz’acqua. Secondo quanto trapelato, la famiglia della ragazzina aveva ricevuto una sola telefonata, il giorno stesso del sequestro, con la richiesta del pagamento di 30 milioni di lire, poi nulla fino al tragico ritrovamento. Non una famiglia particolarmente abbiente: il padre Vittorio, all’epoca 44enne, era commerciante di materiale edile, elettrodomestici e mobili, ma si era subito dato da fare per reperire la somma richiesta, attendendo una seconda chiamata. Che però non c’è mai stata. E la lunga attesa fatta di angoscia e speranza si è poi conclusa con il tragico ritrovamento del cadavere della 13enne. Completamente vestita e con il cranio fracassato.

Purtroppo in quegli anni i rapimenti erano frequenti, in Italia in nel 1976 ce ne furono ben 47, l’anno dopo addirittura 75. Di ogni possibile matrice, dalle organizzazioni mafiose a bande criminali, passando per gruppi politici e persone allo sbando. Purtroppo, con i mezzi investigativi dell’epoca, niente Dna, niente cellulari da tracciare, non sembra essere rimasto nulla a cui aggrapparsi per sottrarre dall’oblio la soluzione di questa tragedia che scosse il Polesine. Fu, infatti, il primo rapimento in provincia di Rovigo e il ritrovamento di una ragazzina così giovane senza vita rappresentò un vero choc.

Venendo a tempi più recenti, un cold case sul quale si sono inseguite tante ipotesi ma senza che venisse mai trovato un riscontro, né una traccia concreta, è la scomparsa di Greta Spreafico, la cantante di Erba, dall’alba del 4 giugno 2022, mentre si trovava a Porto Tolle per vendere la casa di Ca’ Tiepolo, ereditata dal nonno. Il sospetto è che Greta possa essere stata rapita e uccisa, il suo cadavere e la sua auto nascosti o distrutti. Per due volte però le tracce seguite dalla procura di Rovigo non hanno fatto emergere elementi tali da reggere una richiesta di rinvio a giudizio e lo scorso luglio è stata chiesta, per la seconda volta dopo una prima il 2 ottobre 2023, l’archiviazione. Perché, nonostante le approfondite ricerche, non è stato trovato il corpo né la Kia Picanto di Greta, che all’epoca della scomparsa aveva 53 anni. L’ultima sua traccia è un messaggio affettuoso, inviato verso le 3 di notte, al compagno, che è stato poi il primo a segnalare la sua scomparsa. E, alle 5.16 del 4 giugno, il passaggio della sua auto sulla Provinciale 38, fra Barricata e Bonelli. Poi, più nulla, né di Greta né dell’auto.

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In generale, decisivo per la risoluzione di casi da anni senza risposte e di indagini rimaste da anni e anni “contro ignoti” è il Dna. E preziosa, in questo senso, si è rivelata la creazione giugno del 2016 del grande archivio genetico, la “Banca dati del Dna”, nel quale vengono conservati i profili genetici dei condannati a pene detentive e di tutti gli arrestati.

Ma nemmeno il Dna ha dato una mano per trovare un appiglio in un altro giallo che sembra destinato a non trovare soluzioni. Che è, all’opposto della scomparsa di Greta, il ritrovamento di un corpo senza nome, con testa mani mozzate, il 4 aprile di due anni fa, dentro un borsone sportivo affiorato sulla riva del Po a Malcantone. Il corpo di una ragazza di carnagione chiara, di razza caucasica, fra i 25 ed i 30 anni, morta da un paio di settimane circa prima del suo ritrovamento. Un cadavere ancora senza un nome, una vittima di un omicidio ancora da scoprire. Tutte le indagini e gli accertamenti, compresa l'estrazione del Dna, non hanno portato elementi utili ad identificare la donna. Nessuna risposta è arrivata nemmeno quando sono state diffuse le foto della camicetta leggera, azzurra, con dei motivi arabescati, vagamente orientaleggianti, dei pantaloni scuri, tipo jeans, e della giacchetta rosa di ciniglia, con la zip e delle rose bianche stilizzate all'altezza del petto, che la donna indossava quando è stata uccisa.

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Un altro cold case rimasto senza risposte è quello del doppio macabro ritrovamento, a cavallo fra 2014 e 2015, delle due gambe, apparentemente recise con una sega all'altezza della testa del femore, ritrovate una nella laguna di Marinetta, l'altra a Boccasette, che vide impegnata per mesi gli inquirenti nel cercare di dare un nome a quel corpo smembrato, soprattutto dopo che le analisi anatomopatologiche avevano evidenziato che entrambi gli arti appartenevano allo stesso corpo ed erano stati datati nell'arco di qualche mese, forse anche meno di un anno. Ma né i riscontri del Dna, né il controllo minuzioso di tutte le denunce di scomparsa in aree con qualche possibile compatibilità, oltre all'utilizzo a tappeto su tutto il litorale polesano dei cani molecolari per trovare altri eventuali ulteriori resti, avevano fatto emergere la benché minima traccia utile a riuscire a dare un'identità ai resti ritrovati. Stessa fine per il “giallo dell'estate 2019”, quando a fine agosto sulle spiagge polesane, erano stati ritrovati in successione sei frammenti ossei che avevano fatto pensare a parti di uno stesso corpo, e, in particolare all'ipotesi che potesse trattarsi di resti del cadavere mai ritrovato di Isabella Noventa. Tuttavia, dei frammenti uno solo è poi risultato umano, gli altri erano resti scheletrici di vari animali. Solo una mandibola è risultata di un uomo, giovane ma già nell'età adulta. Morto da qualche anno. Altre risposte non sono arrivate.

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