VOCE
piazza garibaldi
30.10.2025 - 21:13
Un simbolo di memoria e di coraggio ha trovato spazio nel cuore della città. In piazza Garibaldi, giovedì, è stata esposta la teca con i resti della “Quarto Savona Quindici”, l’auto degli uomini della scorta del giudice Giovanni Falcone distrutta nella strage di Capaci del 23 maggio 1992. L’auto in cui morirono gli agenti Antonio Montinaro, Vito Schifani e Rocco Dicillo, Nell’auto che seguiva morirono Falcone e la moglie Francesca Morvillo.
La teca Una presenza che ha trasformato la piazza in un luogo di riflessione collettiva, scattata con l’inno nazionale, poco dopo le 9, il silenzio e lo svelamento della teca con i resti della Fiat Croma blindata. Richiamando cittadini, studenti e istituzioni attorno a un messaggio senza tempo: la legalità come impegno e responsabilità di tutti.
L’iniziativa è stata promossa dalla prefettura di Rovigo all’interno del percorso dedicato all’educazione civica e alla legalità, con una rete di istituzioni e associazioni che hanno collaborato in sinergia per la riuscita dell’evento: Prefettura, questura, Comune di Rovigo, associazione DonatoriNati, fondazione Cariparo, Cur, Camera di commercio, Ufficio scolastico, Formedil - Scuola Edile di Rovigo.
Alla cerimonia hanno preso parte le massime autorità del territorio: il prefetto Franca Tancredi, il sindaco Valeria Cittadin, il presidente della Provincia Enrico Ferrarese, il Questore Eugenio Vomiero, il colonnello dei Carabinieri Edoardo Campora, il colonnello della Guardia di Finanza Francesco Sodano e il procuratore Manuela Fasolato, il Gip Carlo Negri.
L’incontro Appuntamento centrale, al Salone del grano l’incontro con gli studenti delle scuole superiori e dell’università con Tina Montinaro, moglie del caposcorta Antonio Montinaro e presidente dell’associazione “Quarto Savona Quindici”, che da anni porta la testimonianza diretta di chi ha pagato con la vita la fedeltà allo Stato. A moderare l’incontro Alberto Garbellini, direttore de La Voce di Rovigo. 
Tina “La Quarto Savona 15 cammina ancora - ha raccontato Tina Montinaro - perché non li hanno fermati. Il giudice Falcone cammina ancora. È importante che i ragazzi vedano con i propri occhi questa macchina: solo così si comprende davvero che cos’è la mafia e quanto dolore ha seminato”. Il silenzio e l’attenzione del pubblico hanno restituito il senso più autentico di una giornata dedicata non solo al ricordo, ma alla consapevolezza. La sua testimonianza, intensa e sincera, “non cambierei una virgola di quanto avvenuto, il sacrificio di mio marito e di tanti uomini delle forze dell’ordine ci fa camminare con la testa alta”, ha profondamente colpito i ragazzi, che hanno risposto con domande, riflessioni e racconti dei loro percorsi di educazione alla legalità. Tina Montinaro ha raccontato gli ultimi momenti di vita col marito, “aveva paura, ma volle continuare a lavorare per proteggere Falcone e i suoi ideali. Mi aveva detto che nel caso di attentati l’avrebbero raccolto col cucchiaino perché Cosa nostra avrebbe usato esplosivo. Il giorno della strage seppi quello che era successo all’ospedale, dove pensavo di trovare mio marito ferito”. E ancora: “Io non posso perdonare, ma sono convinta che a tutti si può dare una seconda possibilità. Anche per questo porto avanti le idee di legalità, incontro cittadini e tanti giovani perché loro sono il futuro ed è in loro che deve crescere l’idea di legalità, rispetto e giustizia”. 
I ragazzi Tanti gli interventi degli studenti, come i giovani che hanno raccontato la loro visita a Palermo ai luoghi della legalità; la ragazza che ha ammesso di voler entrare in polizia, i giovani che hanno chiesto come poter contrastare fenomeni omertosi e come togliere i minorenni da contesti legati alla criminalità. E ancora: la necessità della detenzione al 41 bis, la legislazione sui collaboratori di giustizia, la continua lotta delle forze di polizia per fermare le infiltrazioni mafiosi nell’economia, negli appalti, nella vita quotidiana. 
Il prefetto Nel suo intervento, il prefetto Franca Tancredi ha sottolineato come la memoria di quel 23 maggio 1992 debba tradursi in un impegno concreto: “Non bisogna dare nulla per scontato né pensare che le mafie appartengano solo ad altri luoghi. Oggi non uccidono, ma delegittimano e si infiltrano. È fondamentale crescere nel rispetto dell’altro e nel senso civico verso la propria comunità”. Il procuratore Fasolato, il giudice Negri , il direttore del carcere di Rovigo e i rappresentanti delle forze dell’ordine, hanno evidenziato il dovere di “non abbassare la guardia nei confronti del pericolo mafioso, che esiste anche al Nord, di non girarsi mai dall’altra parte davanti a reati e vessazioni, di portare avanti la cultura della legalità”. 
La “Quarto Savona Quindici”, ridotta a un intreccio di lamiere ma intatta nel suo significato, continua a viaggiare in tutta Italia come monito e testimonianza. A Rovigo ha lasciato un segno profondo, un invito a trasformare la memoria in azione, perché la legalità resti un valore vivo, da difendere ogni giorno.
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