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Intervista al candidato

“Sanità e sociale, si deve fare di più”

“Non è vero che i medici non ci sono, preferiscono il privato: su questo dobbiamo lavorare”

“Sanità e sociale, si deve fare di più”

Un impegno nel sociale che si è riversato in politica: Emanuela Pizzardo, funzionario amministrativo dell’Ulss Polesana, presidente dell’associazione “Nessuno escluso”, tutore volontario di minori, che si affaccia, o si riaffaccia, alla politica con grande spirito di servizio, è stata inserita dal Pd nella “cinquina” della lista dei candidati al consiglio regionale.

Perché ha deciso di mettersi in gioco?

“Mi è stata fatta una proposta e ho detto sì, una scelta sia di natura personale che, per così dire, ‘sociale’, perché ho sentito la necessità di impegnarmi e di mettere a disposizione l’esperienza maturata nella mia professione in materia sanitaria, e perché sono figlia di una generazione che ha avuto tante opportunità e sento in qualche modo l’obbligo di restituire quello che ho avuto, in un momento in cui percepisco un diffuso disagio. E, in questi giorni di campagna elettorale in mezzo alla gente, l’ho percepito con ancora più forza. Sono tempi difficili e ritengo ci sia anche un dovere di testimonianza, di impegno civile, di mettersi a disposizione. Il contatto diretto con le persone, in questi giorni, mi ha già dato molto: è stato un bagno di umanità”.

La sanità è il fulcro dell’attività della Regione, qual è il suo approccio e quali sono le sue idee in questo ambito?

“Beh, la sanità in Veneto vive un sottofinanziamento cronico che discende dalle scelte di un governo nazionale di destra che, anche con l’ultima finanziaria, non ha fatto nulla per invertire questa tendenza. La nostra sanità pubblica è un patrimonio prezioso, ma va governata bene. Invece, anche qui in Veneto, da 30 anni a questa parte, ed ancor più nei 15 anni a guida Zaia, c’è stato un impulso verso il settore privato che ha impedito di fare scelte importanti sul pubblico, come si vede anche dal depauperamento degli ospedali di Adria e Trecenta. La Regione ha possibilità di scegliere se avvicinarsi sempre più al modello Lombardia, che abbiamo visto fallire quando è stato messo alla prova durante il Covid, o a un welfare condiviso pubblico in un momento in cui una persona su dieci, anche da noi, non riesce più a curarsi. Per fortuna il pubblico nelle grandi emergenze risponde ancora, ma tutta la diagnostica e le cure di primo livello sono in affanno, come testimoniano le liste d’attesa, a tutto vantaggio del privato”.

Come si può intervenire concretamente?

“Scegliendo di investire più risorse possibili nel pubblico a fronte di quella che assume sempre più i contorni di un’emergenza. Il fatto che ci siano associazioni come la nostra, che promuovono l’apertura di ambulatori di prossimità con operatori volontari per affrontare la fragilità sociale ed economica del territorio, è significativo. E lo è anche il fatto che il candidato presidente del centrodestra parli sempre di sanità e sociale da potenziare: è il segno che sono consapevoli che le cose non funzionano come dovrebbero e la percezione generale è di una sanità in sofferenza. La risposta, fra l’altro, non è solo negli ospedali, ma nella sanità territoriale: stiamo costruendo le case della comunità , ma devono essere riempite. Si dice: ma non ci sono medici. Non è vero, i medici non ci sono è che preferiscono il privato. E’ su questo che dobbiamo lavorare”.

E sul fronte del sociale?

“Anche qui scontiamo le inefficienze della nostra Regione, l’unica insieme alla Sicilia a non aver fatto una legge per la riforma delle Ipab, organizzando e regolando le case di riposo. In un territorio come il nostro, sempre più anziano, sono necessari più accreditamenti e più impegnative di residenzialità. Anche sugli Ats, gli Ambiti territoriali sociali, siamo gli ultimi ad adeguarci a una normativa del 2000. E lo dobbiamo fare dando loro la forma giuridica dei consorzi. Bisogna poi stare molto attenti al trasferimento di competenze dalle Ulss agli Ats, è un passaggio che va monitorato per evitare grandi problemi. Anche perché poi c’è tutto il terzo settore, che supporta e sostituisce il sociale pubblico, un settore che ha visto un aumento contrattuale del 15% e pubblico deve riconoscere questo adeguamento, altrimenti non ce la fanno. E significa servizi per gli anziani, per i disabili, per i giovani, per l’inclusione”.

Già, l’inclusione. Nei giorni scorsi un suo intervento sull’importanza dell’inclusione e sulla necessità di ribaltare la prospettiva ha scatenato reazioni forti…

“E’ la storia che lo dice: l’inclusione non è l’opposto della sicurezza. Senza inclusione non può esserci vera sicurezza. Occuparsi di minoranze significa lavorare per tutta la società, renderla più inclusiva vuol dire combattere le marginalità nelle quali tende a svilupparsi la criminalità. Il meccanismo è lo stare insieme, la coesione sociale il cui strumento principale è il welfare. Il problema è che ci sono tante povertà e ognuno si sente defraudato dalle attenzioni a quelle altrui. Ma questo non significa altro che la narrazione del Veneto terra felice nasconde una realtà diversa. Zaia è un grande comunicatore, ma la realtà è diversa da quella artificiale che viene diffusa: in Veneto ci sono tanti problemi e bisogna lavorare per affrontarli, non nasconderli ed esasperarli. Io credo in un Veneto più forte, più inclusivo, più comunità”.

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