VOCE
Il ricordo
16.11.2025 - 14:42
“Negli anni ‘60 abbassamenti fino a un metro e le estrazioni furono bloccate: nessuno ricorda?”
“Quando ho letto della possibilità del ritorno delle estrazioni di gas in Polesine non ci volevo credere possibile che nessuno si ricordi di quello che è successo negli anni ‘60?”. A chiederlo, con sincera preoccupazione e uno spirito battagliero quasi commuovente alla luce dei suoi 93 anni, è Alessandro Vegnuti, professione topografo.
Una professione che ha svolto proprio in Polesine e proprio a partire dagli anni ‘60, misurando gli effetti della subsidenza nel Delta del Po: “Sono arrivato da Spezia a Rovigo nei primi anni ’60 con un amico - racconta - richiamati dalla fama di questa terra d’acque, avevamo lavorato insieme in varie parti d’Italia e poi a Milano, questo ci sembrava un luogo che potesse offrire opportunità e così è stato: offrimmo la nostra opera ed incontrammo l’interesse del Genio civile, della Provincia, dei numerosi Consorzi di bonifica, perché si stava sviluppando nel Basso Polesine un fenomeno di bradisismo, che si pensava dovuto a certa attività estrattiva del metano di cui il sottosuolo è notoriamente ricco”.
Vegnuti racconta, con gli occhi che brillano ancora, delle misurazioni che oggi, in tempi di gps e rilievi satellitari appaiono pioneristici, anche se in realtà in parte sono tuttora utilizzati: “Noi fummo incaricati dal Genio Civile, guidato al tempo dall’ingegner Giovanni Mercusa, di eseguire misurazioni dei livelli dei terreni. Avevamo stabilito una serie di caposaldi, che sono come dei chiodi di ottone posizionati su delle cose ferme, come ponti e edifici, ma anche piastrine sulle facciate delle case. Seguivamo il corso del Canalbianco, da Canda, dove c’era un punto fisso già quotato dall’Istituto geografico militare, fino al mare. Avevamo stabilito una linea di livellazione con questi caposaldi fissati ogni chilometro e con un livello, uno speciale strumento ottico, con una sorta di cannocchiale, una livella e delle stadie graduate, misuravamo il dislivello tra i vari punti di riferimento. Misurazioni ripetute periodicamente, anche ogni sei mesi. E i risultati furono sorprendenti: rilevammo abbassamenti anche intorno ad un metro dopo qualche anno e vari turni di misurazione. Certe zone arrivarono a quote altimetriche sotto il livello del mare”.
Certo, la subsidenza della pianura padana è un fenomeno in certa parte naturale, dovuto alla conformazione geologica sedimentaria della Pianura padana. Ma con le estrazioni di acque metanifere il fenomeno risultava accelerato, con abbassamenti fino a due metri. Dal 1954 al 1958 furono estratti 230 milioni di metri cubi di metano ogni anno, nel 1959 ne furono estratti 300 milioni da 1.424 pozzi, e, nel 1961, fu disposta dal Governo la sospensione delle estrazioni in un territorio campione, fino al blocco totale su tutto il territorio nel 1964. Nonostante la sospensione dell’estrazione nei 15 anni successivi il territorio ha continuato a subire anomali abbassamenti. “C’erano le società che estraevano il gas - ricorda Vegnuti - ma con sistemi personali lo faceva anche chi aveva un pezzo di terra da bucare, per portare il prezioso gas in cucina e negli impianti termici. Da allora, però non si può più fare nulla perché si comprese il problema in tutta la sua gravità”.
Intanto Vegnuti, che si era stabilito ad Adria e sposato con Luciana, mancata qualche anno fa, si è poi trasferito a Rovigo, dove è nata sua figlia e dove vive tuttora. Ha continuato a lavorare a lungo. Anche se ora, ammette con rammarico, “non riesco neanche più a fare il topografo”. Tuttavia, 70 anni dopo quelle sue prime misurazioni che sono servite a fermare le estrazioni, lucidamente confida: “Io coscientemente mi sento un po’ impensierito da queste recenti notizie e dalla possibile ripetizione dei rischi di allora. Se anche dovessero dare rassicurazioni, ma poi ci trovassimo a nuovi sprofondamenti anomali, chi pagherà?”. Per fortuna c’è un vispo 93enne che ci ricorda che bisogna pensare al futuro.
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