VOCE
rovigo
18.11.2025 - 21:30
Avete presente le tante vetrine vuote e le poche che ancora coraggiosamente restano aperte? Ecco, nel giro di dieci anni più di un negozio su quattro di quelli che ancora resistono sarà chiuso. Una prospettiva paurosa, che purtroppo è la previsione che arriva proprio da Confcommercio con il rapporto “Il futuro del commercio al dettaglio in Italia: tendenze e proiezioni al 2035”. Se si considera che nel 2019 in città si contavano quasi mille negozi, la triste prospettiva fra un decennio è di ritrovarsi con appena 500 esercizi commerciali da un capo all’altro di Rovigo, da 996 a 515.
La stima della contrazione è sulla base delle tendenze in atto: “Senza interventi efficaci di contrasto - si legge nello studio - le forze che hanno determinato, negli ultimi dodici anni, la riduzione di oltre il 20% del numero di negozi di prossimità, in sede fissa ed ambulante, continueranno ad operare. E produrranno i medesimi risultati. La desertificazione sarà presto un fenomeno conclamato e potenzialmente fuori controllo. La cittadinanza, tutti i residenti e anche i turisti ne risentiranno negativamente”.
Guardando a Rovigo, il numero di negozi, che nel 2012 era per la verità il più alto in rapporto alla popolazione di tutti i capoluoghi veneti, 11,3 esercizi commerciali ogni mille abitanti, è sceso nel 2024 a 8,4 per mille abitanti. Nello stesso arco di tempo, Treviso è passato da 10,3 negozi ogni mille abitanti a 7,2, Padova da 10 a 7,6, Vicenza da 9,9 a 7,4, Belluno da 9,2 a 6,7 e Verona da 8,9 a 6,4.
Proiettando queste flessioni al futuro, a Rovigo, secondo Confcommercio, nel 2025 i negozi scenderanno a 6,5 ogni mille abitanti, considerando anche una flessione del -3,9% dei residenti, con una riduzione netta del numero degli esercizi commerciali pari al -26,3%. Quindi oltre uno su quattro. Questo significa, considerando che in città i negozi sono circa 700, che in due lustri ne perderemo altri 185. E saranno solo 515
“I risultati di questi esercizi di estrapolazione - rimarca Confcommercio - rendono ineludibile una domanda inquietante: si ragiona della chiusura dei negozi o della chiusura di alcune, tante città? Messa in modo meno enfatico: con una densità commerciale che in molti centri urbani scenderebbe del 50% in poco più di venti anni, dal 2012 al 2035, possiamo immaginare ancora vitali e funzionali quelle città? Negli ultimi dodici anni il tessuto commerciale italiano ha subito una contrazione profonda: più di 140mila attività al dettaglio, tra negozi e ambulanti, hanno cessato l’attività. Il fenomeno è particolarmente visibile nei centri storici e nei piccoli comuni, dove la perdita di imprese incide non solo sull’economia locale ma anche sulla vivibilità degli spazi urbani. Un ulteriore elemento critico riguarda i circa 105mila locali commerciali oggi sfitti, un quarto dei quali inutilizzati da oltre un anno. Senza interventi mirati, la situazione rischia di peggiorare. Le stime indicano che entro il 2035 potrebbero chiudere altre 114mila imprese del settore, pari a oltre un quinto di quelle ancora attive. Per molte città medio-grandi del Centro-Nord, dove la densità commerciale sta diminuendo rapidamente, l’impatto sarebbe particolarmente severo”.
Quest’estate con l’analisi “Città e demografia d’impresa”, realizzata dall’Ufficio Studi di Confcommercio in collaborazione con il Centro Studi Guglielmo Tagliacarne è stato evidenziato come nel giro di cinque anni Rovigo ha detto addio a 109 attività commerciali, quasi 22 all’anno, praticamente due al mese, con una flessione pari al -13,44%. Ben oltre una su dieci. Con il numero complessivo sceso da 811 a 702. In particolare, l’emorragia fra 2019 e 2024 ha colpito il centro storico, con 68 attività che hanno chiuso i battenti e con il il totale passato da 461 ad appena 393, ben il -15%, mentre 41 sono le attività che si sono perse in un lustro nel resto del territorio del capoluogo, scese da 350 a 309, con un -11,71%. Se si allarga lo sguardo a una dozzina di anni fa, nel confronto fra 2012 e 2024 emerge come Rovigo abbia perso ben 185 attività, 111 solo in centro e 74 nel resto del territorio.
Nel dettaglio, negli ultimi cinque anni, si sono persi cinque negozi di prodotti alimentari e bevande, tre tabaccai, cinque distributori di carburante per autotrazione, sette negozi di altri prodotti per uso domestico in esercizi specializzati, cinque esercizi non specializzati, due di articoli culturali e ricreativi, sei di commercio al dettaglio al di fuori di negozi, banchi e mercati, 22 di altri prodotti in esercizi specializzati, 28 bar e 6 ristoranti, due alberghi e ben 31 attività di commercio al dettaglio ambulante. Ci sono però anche dei settori con il segno più: i servizi di alloggio, quattro attività in più, e le altre forme di alloggio, altre sei attività, nonché sette negozi di prodotti informatici e telefonici.
Purtroppo, non si tratta certo di un fenomeno limitato a Rovigo, perché la desertificazione commerciale è un problema comune ad ogni latitudine. “Tra il 2012 e il 2024, in Italia - rimarca Confcommercio - sono spariti quasi 118mila negozi al dettaglio e 23mila attività di commercio ambulante; in crescita le attività di alloggio e ristorazione (+18.500). Nello stesso periodo, nel commercio, negli alberghi e nei pubblici esercizi, si registra una forte crescita di imprese straniere (+41,4%) mentre quelle a titolarità italiana segnano solo un +3,1%. E del totale della nuova occupazione straniera nell’intera economia (+397mila occupati negli ultimi 12 anni) il 39% si concentra nel commercio, nell’alloggio e nella ristorazione (+155mila); nei centri storici chiudono più negozi che nelle periferie, sia al Centro-Nord che nel Mezzogiorno. Nei Comuni al centro dell’analisi sono spariti, negli ultimi 12 anni, quasi 31mila esercizi al dettaglio in sede fissa, riduzione che si accompagna a quella degli sportelli bancari che tra il 2015 e il 2023 sono passati da 8.026 a 5.173 (-35,5%)”.
E, tra i settori merceologici, “nei centri storici si riducono le attività tradizionali (carburanti -42,1%, libri e giocattoli -36,5%, mobili e ferramenta -34,8%, abbigliamento -26%) e aumentano i servizi (farmacie +12,3%, computer e telefonia +10,5%) e le attività di alloggio (+67,5%) al cui interno si registra un vero e proprio boom degli affitti brevi (+170%), dovuto alla forte accelerazione nell’ultimo anno, mentre gli alberghi tradizionali calano del 9,7%”.
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