VOCE
Economia
20.11.2025 - 21:00
Il valore aggiunto del Polesine, aggiunge poco al valore aggiunto Veneto, rappresentando appena il 3,6% del totale. Per valore aggiunto, si intende la cifra che risulta sottraendo dal valore di quanto viene venduto o stoccato e quanto è costato produrla, ovvero beni e servizi intermedi acquistati o retribuiti. Ecco, nel 2024 a fronte di un valore aggiunto del Veneto pari a oltre 180 miliardi di euro, quello della provincia di Rovigo è stato 6,5 miliardi. Purtroppo oltre al più piccolo in valore assoluto, con Belluno, penultimo, che genera comunque 7,3 miliardi, il valore aggiunto in polesine è anche di gran lunga il più basso se rapportato alla popolazione: 28.649 euro pro capite, quasi 10mila euro in meno della media regionale, 37.156 euro pro capite e inferiore anche alla media nazionale, 33.348 euro pro capite. Inferiore anche, per dire, al valore medio pro capite dell’Abruzzo.
Questi dati, diffusi dal Centro studi delle Camere di commercio Guglielmo Tagliacarne e Unioncamere permettono di valutare anche il valore aggiunto per i singoli settori economici. Focalizzandosi sul Polesine si può notare come la fetta maggiore della “torta” del valore aggiunto provinciale sia quella delle attività finanziarie, assicurative, immobiliari, professionali, scientifiche, tecniche, e di amministrazione e servizi di supporto con 1,69 miliardi, il 26%, lasciandosi alle spalle il commercio in senso lato che comprende, “commercio all’ingrosso e al dettaglio, riparazione di autoveicoli e motocicli, trasporto e magazzinaggio, servizi di alloggio e di ristorazione, servizi di informazione e comunicazione”, con 1,48 miliardi di euro, il 23%, appena superiore all’industria in senso stretto che nel 2024 ha avuto un valore aggiunto pari a 1,42 miliardi, il 22%. Poi, gli “altri servizi” con 1,2 miliardi, il 18%, le costruzioni con 466 milioni, il 7%, e, infine, il primario, con 249 milioni, poco meno del 4%. Nel complesso, i servizi, il terziario, con 4,4 miliardi pesa per oltre il 67% del valore aggiunto polesano. A livello regionale i servizi finanziari e professionali valgono analogamente il 26% e il commercio e turismo il 24%, con il totale del terziario che pesa per il 65%, ma l’industria vale invece per il 26,6%, primo settore del Veneto, con le costruzioni che valgono il 6,15% e il primario il 2,3%.
Interessante è poi valutare le mutazioni nel tempo del valore aggiunto. Nel 2023, per esempio, quello del Veneto è stato pari a oltre 178 miliardi, quello polesano è stato 6,4 miliardi: il primo è cresciuto del +1,2%, quello della provincia di Rovigo del +1,43%. Un timido segnale di speranza.
Andando ben più indietro nel tempo e arrivando al secolo scorso, nel 1995, ancora ai tempi della lira, secondo i dati Istat rapportati al cambio attuale, il valore aggiunto del Veneto era pari a 79 miliardi di euro, mentre quello polesano di 3,69 miliardi, il 4,7% del totale regionale. E, in 30 anni la crescita è stata del +127,98% a livello regionale e del +76,44% a livello provinciale. Il ritardo polesano, dunque, è aumentato nell’ultimo trentennio, anche se già allora il valore aggiunto pro capite in provincia di Rovigo era pari a 14.994 euro, mentre quello regionale di 17.896. La forbice, quindi, è quasi triplicata, passando da 2.902 a 8.507 euro, aumentando del +193,14%.
Allora l’agricoltura polesana aveva un valore aggiunto di 295,6 milioni di euro, l’unico settore ad aver subito un calo, il -15,59%, mentre l’industria in senso stretto valeva 919,9 milioni, quindi è cresciuta del +53,97%, le costruzioni si attestavano a 234,1, con la crescita nei trent’anni che ha portato quasi al raddoppio, il +99,12%, mentre i servizi nel complesso valevano 2,24 miliardi e hanno fatto registrare il secondo incremento percentuale, il +95,44%. Significativo notare come in questi stessi 30 anni, in Veneto il valore aggiunto dell’industria in senso stretto sia cresciuto del +92,31%, quasi il doppio del Polesine.
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