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I veneti saliti al soglio di Pietro

Il nuovo volume di Jori

I veneti saliti al soglio di Pietro

Duemila anni per dieci papi. Proporzione non da poco se si calcola che, su 267 pontefici, una decina proveniva dal Veneto. Distratti e indaffarati, anche per gli eterni lavori metropolitani, è grazie a uno di loro se la piazza del Vittoriano della capitale, che tante volte si scorre con velocità tra il traffico romano, si chiama proprio piazza Venezia, così alla stregua del palazzo che la domina, di pontificia quanto ventennale memoria. A ricordo di questa, come delle altre biografie succulente di personaggi “venetissimi”, ritrovatisi sul soglio vaticano, il nuovo libro di Francesco Jori, La vigna del Signore. Storia dei dieci Papi veneti, edito da Ronzani Editore. E tra chi mangiava troppi meloni, a chi scappava travestito, ce n’è veramente per tutti i gusti.

Tra questi un difensore di quel famoso Bonifacio VIII, sì, quello dello schiaffo di Anagni, ovvero Benedetto XI, eletto nel 1303, trevigiano; ma anche Eugenio IV (Condulmèr), che scappa travestito da frate in una barchetta sul Tevere durante la ribellione dei romani. Tornato dopo anni, vista la scomparsa più o meno voluta, nel frattempo viene eletto un antipapa, direttamente da casa Savoia, Felice V, sarà l’ultimo. All’elezione di Niccolò V si sottomise spontaneamente non rivendicando nulla per favorire l’unità dei cristiani. Il premio? La nomina cardinalizia. Morì in odore di santità e riposa accanto alla Sindone nel duomo di Torino.

Morì per l’emozione dell’elezione al soglio pontificio la madre del veneziano Clemente XIII Rezzonico, papa famoso anche per aver dato l’ordine di coprire le oscenità messe in bella mostra nelle statue dei corridoi vaticani e, ancora di più, su muscolosi e edonistici corpi del sommo Michelangelo sistino.

Da San Michele in Isola veniva poi Gregorio XVI, ma bisognerà aspettare il “secolo breve” per la carrellata di pontefici già patriarchi di Venezia. “Vivo o morto, ritornerò” disse Pio X, l’amatissimo prelato di Riese (Treviso) partendo per il conclave. Come non tornò mai neppure Albino Luciani, universalmente noto come il papa del sorriso, per soli 33 gironi sul soglio di Pietro. Una storia, la sua, iniziata nell’Agordino, tra radici semplici ma vere, maturata tra le mura del seminario, come segretario vescovile e poi in laguna, a fianco degli operai di Marghera, fermo ma umile in tutto. “Humilitas” che fece ascrivere nello stemma papalino, in quel mese di un pontificato già rivoluzionario, portatore dell’eredità del Concilio e dalle prime assolute: no al plurale majestatis, no alla sedia gestatoria, no alla tiara. Innovazioni dell’ultimo papa veneto, conclude Jori, classe ’46, giornalista e ad oggi editorialista dei quotidiani nordestini del gruppo Nem.

Non un elenco di nomi ma un racconto ponderato sulle grandi storie di coloro che hanno contribuito a cambiare, far proseguire o semplicemente traghettare la Chiesa nei secoli, servi dei servi di terra veneta spesso sconosciuti.

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