VOCE
economia
14.12.2025 - 13:51
Nonostante i dazi, tengono gli affari con gli Stati Uniti (più 2,7%). In Veneto numeri in calo
Netta flessione dell’export polesano che però non arretra sul fronte delle esportazioni verso gli Stati Uniti. Una specie di montagne russe all’americana, quindi. In calo anche l’export veneto.
Dazi, tensioni geopolitiche e crisi dei mercati internazionali hanno fiaccato le esportazioni. La Cgia di Mestre calcola che nei primi 9 mesi di quest’anno, rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso, le vendite nei mercati esteri dei prodotti veneti sono scesi dello 0,6 per cento, contro una media nazionale del + 3,6. Assieme al Trentino Alto Adige e alla Valle d’Aosta siamo le uniche regioni del Nord che hanno subito una contrazione negativa. Nel caso veneto la riduzione è stata pari a 360 milioni di euro. Alla fine dello scorso settembre, lo stock complessivo delle esportazioni nel mondo è sceso a 59,3 miliardi di euro.
In Polesine I dati della provincia di Rovigo dicono che nei primi 9 mesi del 2025 l’export ha subito un calo del 4,1%, piazzando il Polesine all’88esimo posto della graduatoria nazionale. Persi, in pratica, 54,5 milioni di euro rispetto allo stesso periodo del 2024, passando da esportazioni per 1.328,1 milioni di euro a 1.273,6 milioni. Se i numeri vengono focalizzati sull’export verso gli Stati Uniti emergono dati contrastanti: mentre il dato del Veneto vede un calo del 5,9%, in Polesine c’è stato un incremento del 2,7%: 1,5 milioni di euro in più (da 55,6 milioni di euro a 57,1), meritando così il 39esimo posto nazionale
Le province Se a livello provinciale Verona e Padova hanno potuto registrare un incremento rispettivamente dell’1,9 per cento e dell’1,4, le situazioni più critiche, invece, si sono registrate a Rovigo con il -4,1 per cento e a Venezia con il -10,2. Se a livello regionale le nostre esportazioni nel mondo sono scese dello 0,6 per cento, molto più pesante è stata la contrazione registrata verso il mercato Usa.
Sempre tra gennaio e settembre 2025 rispetto allo stesso arco temporale del 2024, la flessione è stata addirittura del 5,9 per cento. Insomma, l’introduzione dei dazi ha pesantemente ostacolato le nostre esportazioni verso gli Usa che, in termini assoluti, sono diminuite di 317 milioni di euro. Se Padova (+9,5 per cento) e Rovigo (+2,7) hanno accresciuto le quote di mercato negli States, Verona (-6,2), Treviso (-6,9) e in particolare Belluno (-35,1) sono crollate. I prodotti che hanno un peso relativo importante nell’economia della nostra regione e che hanno subito le riduzioni di vendita più importanti sono, in particolare, gli apparecchi per uso domestico (-44,5 per cento), l’occhialeria (-29,4), le macchine agricole (-28,4), gli altri prodotti in metallo (-20,4), i mobili (-16,1) e la gioielleria (-9). In altre parole, le politiche protezionistiche messe in atto dalla scorsa estate dagli Stati Uniti rischiano di condizionare nel medio-lungo periodo il commercio estero di tutto il Veneto, sia per gli effetti diretti (mancate esportazioni), sia per quelli indiretti (riduzione margine di profitto delle imprese che continueranno a vendere nel mercato Usa, trasferimento delle imprese o di una parte delle produzioni verso gli Usa, il trade diversion).
Oltre a queste due fattispecie non va sottovalutata anche quella congiunturale (legata alla svalutazione del dollaro nei confronti dell’euro). Dall’inizio di quest’anno il dollaro si è deprezzato nei confronti dell’euro di 12 punti percentuali. Insomma, dazi, crisi internazionali e svalutazione del dollaro hanno frenato l’export del Veneto. Ma per la Cgia è prematuro formulare valutazioni definitive su questo fenomeno; anche se i primi dati statistici a disposizione fotografano una situazione a tinte molto fosche che va monitorata attentamente.
Le cause Nei primi nove mesi dell’anno l’export del Veneto è in controtendenza rispetto al dato nazionale. I dazi introdotti dall’amministrazione Trump, i venti di guerra che soffiano in Europa e le difficoltà del commercio mondiale hanno frenato - più che nel resto d’Italia - le nostre vendite all'estero. E tuttavia i nostri manufatti sono di alta gamma e i produttori di queste eccellenze possono superare questa fase di difficoltà perché non chiedono aiuti, sussidi o contributi, ma un fisco più equo, infrastrutture pubbliche più efficienti e una burocrazia meno fastidiosa. Insomma, un sistema Paese più efficiente.
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