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“Rette, non lasciate soli i sindaci”

Barbujani e Zeggio: “Paghiamo 300mila e 250mila l’anno”. Pigaiani: “Tocca al Comune di residenza”

“Rette, non lasciate soli i sindaci”

Il “caso rette” che ha scosso il Comune di Rovigo, chiamato da un pronunciamento del Tar a pagare 520mila euro di mancata integrazione della retta alberghiera di non autosufficienti con basso Isee, come previsto dalla norma, rientra in un tema noto da tempo. Solo che, con le dinamiche demografiche ed economiche in atto in Polesine, il progressivo invecchiamento e il progressivo depauperamento della popolazione, la prospettiva è di un aumento di questo tipo di esborsi da parte dei Comuni le cui casse sono già esangui.

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“Noi - spiega il sindaco di Adria Massimo Barbujani - già dal 2010, grazie anche all’allora assessore Federico Simoni, siamo stati il primo Comuni ad adeguarsi completamente al dettato normativo. E infatti paghiamo 300mila euro l’anno di integrazione delle rette e non dovremmo avere nessun tipo di contenzioso in corso. Soldi che tiriamo fuori dalle casse del Comune senza alcun tipo di contribuzione regionale o nazionale. Ecco, quando si dice che i Comuni sono in difficoltà: questo è uno di quei problemi che si ripercuotono sui bilanci. Sia chiaro, si tratta di aiuti legittimi e sacrosanti, perché gli anziani non autosufficienti che non hanno risorse economiche hanno il diritto di essere sostenuti e accompagnati negli ultimi anni della loro vita, però chi amministra deve trovare le risorse necessarie e non è pensabile che tutto si faccia ricadere sui sindaci, senza nessun aiuto”.

Sulla stessa linea anche Francesca Zeggio, sindaco di Lendinara, che fra l’altro è anche il Comune capofila dell’Ats 19: “Quello dell’integrazione delle rete dei non autosufficienti a basso Isee è un tema delicato. Come sindaci è da anni che chiediamo una soluzione e anche l’Anci sta insistendo. Sia chiaro, non è che i Comuni non vogliano dare un sostegno alle persone fragili, anzi. Però non si può sempre scaricare tutto sui bilanci comunali senza che ci siano indennizzi. Per dire, noi come Comune di Lendinara non abbiamo contenziosi aperti, perché non ci siamo mai permessi di fare causa, ma abbiamo a carico 250mila euro di integrazione rette. E, ripeto, è chiaro che i Comuni sono pronti a dare il sostegno a chi ne ha diritto, ma ci sono anche casi in cui i figli prima depauperano le proprietà dei genitori poi li piazzano a carico del Comune. All’opposto c’è chi invece avrebbe pieno diritto ma tiene a casa i propri cari anche per scrupolo morale. La norma però dà delle indicazioni precise. Tuttavia non si possono abbandonare i Comuni a far fronte a questa massa di costi senza nessun ristoro”.

Ficarolo è il Comune con la più alta densità di strutture residenziali in Polesine, ben quattro, e, il sindaco Fabiano Pigaiani, questo tema lo conosce bene. “Fortunatamente la norma è chiara: l’integrazione è prevista da parte dell’ultimo Comune di residenza. Nelle nostre case di riposo ospitiamo anziani che provengono da vari Comuni della zona e anche da altre province e altre regioni. E io mi sono anche scontrato con colleghi sindaci, non polesani, che sostenevano di non dover e voler compartecipare alla quota alberghiera delle rette dei loro cittadini. Poi, alla fine, hanno fatto le loro verifiche è hanno versato quanto dovuto. C’è anche tutto il tema degli anziani proprietari di immobili. In ogni caso, noi come Comune di Ficarolo abbiamo solo tre anziani ai quali dobbiamo pagare l’integrazione della retta, ma si tratta tutto sommato di cifre contenute, 10-15mila euro l’anno, perché il contributo copre proporzionalmente all’Isee dell’ospite una parte della quota alberghiera”.

Intanto, Guglielmo Brusco, di Rifondazione Comunista, rimarca: “Mi sono commosso quando, leggendo la prima pagina della Voce, ho appreso che cinque famiglie hanno vinto un ricorso contro il Comune di Rovigo, che pur con una sindacalista come sindaco, dopo 25 anni dalla Legge 328/2000, sembra non abbia ancora applicato quella legge che, all’articolo 6 recita: per i soggetti per i quali si renda necessario il ricovero stabile presso strutture residenziali, il comune nel quale essi hanno la residenza prima del ricovero, previamente informato, assume gli obblighi connessi all’eventuale integrazione economica. Norma che, non conoscevo prima del 2005, fino alla mia nomina ad assessore provinciale alla Sanità. Ma da allora, insieme anche a Cristiano Pavarin ho fatto centinaia di assemblee pubbliche per informare la gente dei loro diritti e della possibilità di risparmiare un mare di soldi che dovevano essere pagati dai Comuni e non dai familiari. Ma quasi niente si è mosso. E ora, finalmente, noto che cinque famiglie hanno preso la via giusta, quella di chiedere il riconoscimento dei propri diritti”.

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