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Il confine sottile tra vita e morte

Nella poesia di Giuseppe Ungaretti, al Cada

Il confine sottile tra vita e morte

Ha lasciato il segno la lectio tenuta da Antonio Lodo all’incontro culturale del Cada parlando di “Petrarca e Ungaretti: il canto della poesia”. L’ex preside, dall’alto della suo grande bagaglio culturale, ha tracciato un percorso che unisce i due poeti vissuti a sei secoli di distanza: il primo dal 1304 al 1374, il secondo dal 1888 al 1970.

Soffermandosi sul padre dell’ermetismo la cui vita, prima ancora della poesia, è profondamente segnata dall’esperienza nelle trincee della Prima guerra mondiale, Lodo ha fatto notare che “il poeta si muove nei corridoi stretti, asfissianti, insanguinati e angusti delle trincee e da ciò trae un’ispirazione nuda, del tutto umana che lo porta a creare versi straordinari, degni di occupare posti tra i più elevati e rilevanti della lirica italiana”.

Dunque, un’esperienza drammatica che porta il poeta a definire questo postulato: la guerra forza l’uomo e porta l’uomo stesso a una condizione di fragilità estrema. “Il confine tra la vita e la morte – evidenzia l’ex preside del liceo Bocchi - si assottiglia spaventosamente, fino a divenire quasi invisibile, fino a spingere l’individuo a ringraziare il cielo per ogni nuova alba intravista. In particolare, Ungaretti assimila da Mallarmé il carattere magico e arcano della poesia, presenza scrutatrice accovacciata in quel lembo orfico e oscuro situato nella dimensione inconoscibile dell’esistenza”.

Secondo Ungaretti “la parola è qualcosa di sacro, mentre l’unico strumento a disposizione del poeta è l’illuminazione: essa rappresenta totalmente quell’attimo in cui la lirica si avvicina all’assoluto sfiorandolo. La parola trasporta nella realtà e fissa fuori dal tempo, nell’eternità, l’istante miracoloso comunicando, per quanto possibile, il senso d’illuminazione provato dal poeta”.

Per questo motivo, sottolinea il relatore, “è essenziale l’utilizzo della parola in tutta la sua purezza, garanzia di immediatezza, sensibilità ed efficacia. Ungaretti scava la parola sino a farla esplodere, la lascia scarna, disossata, basti pensare a quei versi malinconici di ‘Si sta come d’autunno sugli alberi le foglie’. Oppure allo struggente ‘lasciatemi così come una cosa posata in un angolo e dimenticata’ poesia quasi provocatoriamente intitolata ‘Natale’. Per Ungaretti, dunque, il poeta è colui che vede e vuole vedere l’invisibile nel visibile”.

E ancora: “Per Ungaretti, isolare la parola, lasciarla vibrare, genera un dolore così grande da ammutolire persino lo stesso autore, che evita di apporre inutili, superficiali note ai componimenti. Ungaretti si esprime solamente con questa secca, aspra e commovente osservazione: ‘So che cosa significhi la morte, lo sapevo anche prima; ma allora, quando mi è stata strappata la parte migliore di me, la esperimento in me, da quel momento, la morte’. E’ proprio il caso di dire: parole come pietre”.

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