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CULTURA
28.09.2024 - 18:27
Una mostra che parla a più livelli è quella appena inaugurata a palazzo Roverella su “Henri Cartier-Bresson e l’Italia”, che al primo impatto ha già riscosso un ottimo riscontro di pubblico, a giudicare dalla folla di visitatori del primo giorno.
Le 160 immagini in bianco e nero di Henri Cartier-Bresson, scelte dai due curatori - Clément Cheroux, direttore della Fondazione intitolata al maestro, e da Walter Guadagnini, direttore artistico di Camera - documentano i viaggi a più riprese compiuti nel Belpaese dall’osannato fotografo in un arco di circa quarant’anni.
Dai suoi inizi, quando nel 1932, a soli 24 anni, il giovane Henri folgorato da uno scatto di Martin Munkacsi lasciò la pittura e comprò una Leica per provare la fotografia, seguendo in un viaggio di piacere in Italia l’amico André Pieyre de Mandiargues e la fidanzata Leonor Fini, alla decisione di smettere nel 1973 per tornare alla prima passione.
Seguendo lo snodarsi delle varie sezioni espositive, rigorosamente in ordine cronologico, ne emerge non solo il profilo umano e artistico dell’intera parabola professionale di Cartier-Bresson - dalle suggestioni surrealistiche e metafisiche degli anni Trenta al realismo documentario dei primi anni Settanta - ma anche la narrazione delle trasformazioni cruciali della nostra nazione, in particolare del Sud con i suoi atavici problemi. Un’Italia passata attraverso una disastrosa dittatura fascista e conseguente guerra mondiale, ma capace di risollevarsi avviando il boom economico, tra contrasti e contraddizioni, fino ai movimenti di protesta dei primi anni ’70.
Dopo il primo viaggio del ’32 da Salerno a Trieste, il visitatore può “rivedere”, nella seconda sezione, la quotidianità di una Roma anni 1951-52, tra tradizione e avvio alla modernità, incontrare, nella terza sezione, un focus sul Sud degli stessi anni, che stava salendo a caso nazionale e internazionale; quel Sud di “Cristo si è fermato a Eboli” di Carlo Levi. Il percorso prosegue con il gran tour da Nord a Sud del ’53 e, quindi, il ritorno in una Roma profondamente cambiata (decennio ’58-68), quella pasoliniana di “Una vita violenta”, in cui compare un altro dei temi bressoniani: il protagonismo delle folle.
Infine, ancora due reportage: agli inizi degli anni ’60 nell’Italia meridionale e insulare e, nei primi anni ’70, tra Venezia e un ritorno circolare alla Matera del primo viaggio. Una peculiarità è la documentazione esposta non nelle usuali teche, ma appesa accanto alle foto, mentre completano la rassegna un video documentario e un prezioso catalogo edito da Dario Cimorelli.
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