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L’ECCIDIO DI VILLAMARZANA

Li uccisero tutti, il dovere del ricordo

L’uccisione di 4 spie repubblichine, il rastrellamento e la messa al muro, tutte le fasi di quei giorni del ‘44

Li uccisero tutti, il dovere del ricordo

Li misero al muro, dove campeggiava la scritta “primo esempio”, poi fecero fuoco, trucidando uomini, ragazzi, innocenti. Ed ora è giusto ricordare la loro tragedia, perché sia da monito ad un orrore che non si deve più ripetere.

Sono passati 80 anni dal 15 ottobre 1944 e dalla fucilazione di Villamarzana, vile rappresaglia nei confronti di 43 partigiani e semplici cittadini rastrellati durante una delle fasi più calde della Resistenza al nazifascismo in Polesine. Domani a Villamarzana si ricorderanno i 43 martiri con una cerimonia pubblica. Il momento per rievocare una pagina di storia che ha segnato la memoria del nostro territorio.

Il contesto storico “Erano i mesi più violenti della lotta partigiana, una vera guerra civile - spiega Gino Bedeschi, insegnante di lettere e storico per passione, autore del libro ‘A monito e primo esempio’ sugli anni della Repubblica di Salò in Polesine - mesi in cui si sparava di continuo. C’erano diverse bande partigiane che operavano in provincia di Rovigo, c’era la banda Martello ad Adria, gruppi nel Delta, il gruppo Bonatti in Alto Polesine, il gruppo Tasso in Medio Polesine, il gruppo Giustizia e libertà a Rovigo. La Repubblica Sociale aveva il comando della Guardia nazionale repubblicana a Rovigo, la prima compagnia a Lendinara e la seconda ad Adria. E ovviamente c’erano i tedeschi”. Questo il contesto storico di quell’autunno 1944.

Resistenza I giorni che precedono il 15 ottobre 1943 sono un vero estratto di guerra di Resistenza. Ai primi di ottobre il colonnello Vittorio Martelluzzi, della Guardia nazionale fascista decide di infiltrare quattro spie nella Resistenza, l’obiettivo è di smantellare la banda partigiana che lui ritiene protagonista di continue azioni di disturbo e di guerra nei confronti dell’esercito repubblichino nell’area compresa tra Rovigo, Villamarzana, Fratta e Castelguglielmo.

L’azione che aveva innescato questo pugno duro è stata l’imboscata in cui è stato ucciso il 23 settembre, a Fratta Polesine, Giuseppe Bomba, comandante del distaccamento di Fratta della Guardia nazionale fascista, e della Camicia nera Piero Castellacci. L’Ufficio politico investigativo (Upi) fascista, quindi, infiltra 4 repubblichini toscani, componenti delle truppe fasciste ripiegate dal centro Italia dopo la risalita, lungo la Penisola, degli Alleati angloamericani. L’operazione sotto copertura, però dura poco, perché gli infiltrati sono scoperti dai partigiani, la loro parlata toscana, infatti desta sospetti poi suffragati dal fatto che un partigiano polesano che aveva da poco lasciato le fila fasciste aveva riconosciuto uno di loro. Le quattro spie sono uccise. I cadaveri saranno poi ritrovati nelle campagne di Villamarzana e Fratta Polesine.

I rastrellamenti La Guardia Nazionale fascista reagisce subito e nel giro di pochissimi giorni vengono organizzati due rastrellamenti, portati avanti da fascisti e truppe tedesche, che stringono l’area di Villamarzana, Fratta e Castelguglielmo in un perimetro passato a pettine fitto da 120 soldati di Salò della prima e seconda compagnia, tedeschi della Flak e quattro compagnie della Brigata nera polesana, in tutto circa 500 uomini. Nel secondo rastrellamento, tra il 13 e il 14 ottobre, ci sono diversi scontri a fuoco con i partigiani, sparatorie in cui muoiono 11 esponenti della Resistenza. Vengono passati al setaccio casolari di campagna, aziende agricole, boschetti e possibili rifugi. Molti partigiani sfuggono alla cattura ma 43 persone finiscono agli arresti.

La fucilazione Si arriva così al 15 ottobre 1943. I 43 prigionieri sono rinchiusi prima nel carcere di Rovigo e poi trasferiti a Villamarzana. Torture e sevizie caratterizzano le ore precedenti il tragico epilogo. Il maestro Antonio Tasso, uno dei leader del gruppo partigiano confessa di far parte della Resistenza e chiede ai fascisti di lasciar andare gli innocenti in cambio dell’indicazione di chi è effettivamente partigiano fra i 43 prigionieri, alcuni dei quali minorenni (un 14enne e 4 16enni) ed estranei alla lotta partigiana.

Un tentativo di salvare alcuni cittadini che però si scontra contro l’ostinata decisione di dare un terribile e “terroristico” esempio alla popolazione: uccidere tutti i prigionieri. E per questo viene richiamata la folle direttiva tedesca che impone, come rappresaglia, di ucciderne 10 per ogni soldato ucciso. Il conto farebbe 40, ma i fascisti decidono comunque di ucciderli tutti. Per provare a dare copertura giuridica alla fucilazione vengono fatti arrivare tre giudici dal tribunale militare di Padova che però rifiutano di emettere una sentenza che avrebbe comportato l’uccisione di tanti civili. Successivamente vengono condannati a morte per complicità anche il parroco don Pellegatti e il segretario della Bn locale. Quest’ultimo poi sarà fucilato, il parroco graziato.

Al muro I 43 condannati a morte finiscono al muro, schierati davanti alla parete della casa del barbiere. Il plotone d’esecuzione spara, 42 muoiono subito. Uno di loro, il numero 31 dell’elenco, è solo ferito e si salva, trasportato in ospedale viene poi risparmiato. La 43esima vittima, invece, non è fucilata davanti al muro, ma uccisa in cimitero qualche giorno dopo. Sul muro campeggia la scritta “Primo esempio” a dimostrare che la strage aveva l’obiettivo di dare l’esempio alla popolazione, per stroncare sul nascere ogni altro episodio di ribellione al totalitarismo e alle violenze nazifasciste.

Il processo Il processo per le 43 vittime di Villamarzana è celebrato nel Dopoguerra. Anzi, i processi sono due, prima quello a chi decise quella orrenda rappresaglia e in seguito a chi premette il grilletto (quasi tutti fascisti toscani, chiamati a Villamarzana dalla seconda compagnia della Guardia repubblicana di Adria). Ci furono delle condanne a morte e alcuni ergastoli. Ma nessuno subì la pena capitale e nel 1961 erano già tutti liberi a seguito dell’amnistia.

La memoria La tragedia dei 43 martiri di Villamarzana resta impresso nella memoria storica del Polesine. Dopo un primo periodo di revoca voglia di ricordare e rievocare quei tragici giorni, da decenni a Villamarzana alla metà di ottobre si svolgono cerimonie, davanti al monumento, per ricordare i 43 martiri del nazifascismo e gli 11 partigiani uccidi nei precedenti scontri a fuoco. Quest’anno ricorrendo l’80esimo gli appuntamenti sono e saranno più numerosi. Oggi Gino Bedeschi ne parlerà alla biblioteca di Bottrighe (alle 17) alla conferenza “L’eccidio di Villamarzana e la repressione partigiana nel Polesine”. Il lavoro di Bedeschi è stato importante non solo per aver scritto un libro su quelle vicende, ma anche perché è riuscito a recuperare gli atti ufficiali, i documenti relativi alla fucilazione di Villamarzana.

Domani la cerimonia ufficiale davanti al monumento di Villamarzana che reca la scritta “43”.

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