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LIRICA

La “voce” diventata storia di vita

“Non è una vicenda di genere, ma qualcosa che può accadere a chiunque e dove nessuno vince”

La “voce” diventata storia di vita

A che punto può portare un amore malato, non corrisposto? Lo vediamo nelle cronache noir quotidiane.

Ad indagarlo nelle sue pieghe più intime e drammatiche, è arrivata al Teatro Sociale di Rovigo “La voix humaine” di Jean Cocteau, nell’edizione musicata di Francis Poulenc, andata in prima venerdì sera con l’inedita produzione del Teatro rodigino, per la regia, scene e costumi di Gianmaria Aliverta. Una delle opere più note di Cocteau, che nel tempo ha fornito diversi spunti per riletture e trasposizioni: dall’opera alla musica pop e rock, dal teatro al cinema.

Una pièce incredibilmente attuale, nonostante si avvicini al centenario, essendo andata in scena per la prima volta nel 1930. A trasformarla in “tragédie lyrique” fu poi il compositore Francis Poulenc, fra il 1958 e il ’59: un intenso atto unico con al centro il monologo di una donna in nell’anticamera deserta di un ospedale, in chiamata con il suo amante. Una “lei” volutamente indefinita per rappresentare tutte le anime, che indistintamente - si tratta di una donna, ma potrebbe anche essere un uomo - soffrono per la fine di un amore “tossico” che non riescono a superare.

Per questo, quella che Aliverta ha portato sulle scene rodigine, “non è una storia di genere, ma una storia di vita, una vicenda che può accadere a chiunque e dove nessuno vince”, ha precisato. Perché dietro all’evidente recupero del topos della donna abbandonata, si possono leggere tanti altri temi della nostra epoca: solitudine e incomunicabilità, scavo della psiche, tra ansia ed angoscia e, soprattutto, il legame simbiotico con i telefoni, che ha enfatizzato la separazione tra voce e corpo e l’antitesi cuore-macchina, da cui riaffiora anche l’immagine dell’automa.

Ecco che la “voce umana”, prima si nasconde nell’ipocrisia e falsità e poi, nella seconda parte, rivela il dramma, che non può che terminare nel peggiore epilogo con il rifiuto della vita, quando non si riesce più a concepirla senza l’altra metà, da cui morbosamente si è dipesi. Un messaggio potente, dunque, che lascia un forte retrogusto amaro su cui riflettere.

Straordinaria l’interprete, Ekaterina Bakanova (accompagnata al pianoforte da Davide Cavalli), perfettamente a suo agio in una parte alquanto complessa, autentico pezzo di bravura, non solo per l’ampia gamma vocalica - che spazia dal parlato al recitar cantando, al melodico, fino agli acuti - ma anche per l’interpretazione carismatica (indimenticabile la prova di Anna Magnani, diretta da Roberto Rossellini nel film “L’amore”).

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