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palazzo roverella

Mostra Hammershøi, via alle visite

Apprezzamento per le opere esposte. I silenzi e i colori del grande Nord, c’è anche un’opera “italiana”

Mostra Hammershøi, via alle visite

Il grande pittore danese Vilhelm Hammershøi è arrivato a Rovigo con la sua arte originale, protagonista della nuova mostra di palazzo Roverella per il 2025: “Hammershøi e i pittori del silenzio tra il Nord Europa e l’Italia”.

Sono scattate le visite alle opere esposte nelle sale del Roverella, e sono già molte le persone che hanno potuto ammirare i quadri di Hammershøi.

Ed incominciamo a saperne di più, visto che, dopo il successo in vita, era caduto per quasi un secolo nell’oblio e solo di recente, alla fine del secolo scorso, è stato riconosciuto all’estero il suo ruolo fondamentale nella pittura danese di fine ‘800-primi ‘900; mancava però all’Italia e a colmare questo vuoto hanno pensato la Fondazione Cariparo con i partner consolidati: il Comune di Rovigo e l’Accademia dei Concordi, con il sostegno di Banca Intesa Sanpaolo. E poiché squadra vincente non si cambia, la curatela è stata affidata a Paolo Bolpagni, che a Rovigo è ormai di casa con ben altre tre mostre del Roverella all’attivo.

Artista puntiglioso e pertanto poco produttivo, Hammershøi non ha lasciato molte opere, ma quelle esposte al Roverella ricostruiscono in modo eloquente la sua parabola artistica in tre espressioni: gli interni domestici (da lui prediletti, delle sue stesse abitazioni), l’architettura delle città e i rari ritratti. Un artista di cui finora poco si sapeva, anche per il suo carattere restio e riservato, tanto da rifiutare un saggio che il grande Rilke, rimasto folgorato dalla sua opera, voleva dedicargli, né egli lasciò testi esplicativi delle sue scelte artistiche, volutamente non inquadrabili con i movimenti del suo tempo (Simbolismo e Post impressionismo); restano a testimonianza - come ha insegnato Bolpagni - le sue lettere.

Un pittore, quindi, tutto da scoprire, definito “del silenzio”, poiché le atmosfere da lui dipinte, che siano angoli di interni domestici di un’elegante sobrietà borghese, riprodotti con un minimalismo intimista e con scarse presenze umane o flash di città deserte, in cui prevale l’elemento architettonico, inducono alla riflessione ed introspezione, favoriti proprio dal silenzio. Ma nulla può essere più assordante del “rumore del silenzio” e quindi proprio quegli scorci apparentemente inerti di ambienti interni ed esterni, sembrano “parlare” all’osservatore, spingendolo a porsi mille domande su chi li ha vissuti e sul mistero che li avvolge, implementato dal contrasto luci-ombre e da note di colore insistentemente monotono, dalle tinte piatte e grigie, evocanti fredde e malinconiche atmosfere nordiche (“Le città del silenzio” di D'Annunzio). Quanto alle poche figure, prevalgono quelle femminili (soprattutto la moglie Ida), anch’esse avvolte nel mistero di un’inquadratura da dietro o di profilo, che sembrano, nel loro isolamento, suggerire il tema dell’incomunicabilità (Ibsen, Kierkegaard).

E c’è anche il rapporto di Hammershøi con l’Italia, che visitò in tre viaggi, innamorato dei pittori “primitivi” (Giotto, Masaccio, Il Verrocchio), anche se abbiamo una sola sua opera “italiana”: l’interno della chiesa di Santo Stefano Rotondo al Celio Interessante, infine, il confronto con altri artisti coevi italiani ed europei, che hanno condiviso il filone “del silenzio”.

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