Fabrizio Donà: “Intervenni per fare pulizie, avrei potuto essere in quella sala d’attesa, per fortuna il mio caposquadra mi disse di posticipare la pausa".
Quella bomba, esplosa 37 anni fa, continua a riverberare la sua tragica eco. Una deflagrazione che distrusse la stazione ferroviaria di Bologna, provocando 85 molti e centinaia di feriti.
Effetti che si riproducono ancora oggi, visto che ieri, nell’anniversario della strage, i familiari delle vittime hanno protestato contro uno Stato che, secondo loro, non fa ancora tutto il possibile per eliminare i misteri che ancora circondano l’eccidio più efferato della storia repubblicana.
La vittima Una strage che ha toccato anche molti polesani: fra le vittime, fra chi intervenne per dare una mano, e chi venne arrestato perché sospettato di continuità con l’area terroristica accusata dell’attentato del 2 agosto 1980. Fra le 85 persone morte nell’esplosione della bomba nella sala d’attesa della stazione c’è anche Mariangela Marangon, 22enne di Rosolina, morta mentre attendeva il treno che l’avrebbe riportata a casa sua, a Rosolina. La ragazza lavorava a Bologna come baby sitter e ogni sabato tornava a casa sua in Basso Polesine. Per ricordarla Rosolina, che ogni anni partecipa col suo gonfalone alla cerimonia commemorativa di Bologna, le ha anche dedicato un tratto di strada.
Salvo per un caso Quel giorno a Bologna c’era anche il rodigino Fabrizio Donà. Il conosciuto supertifoso del Rovigo calcio può definirsi una sorta di miracolato, perché quel giorno in quella sala d’attesa della stazione poteva esserci anche lui. “In quel periodo - racconta Donà - lavoravo in una impresa di pulizia di Bologna. Quando scoppiò la bomba ero a poche centinaia di metri dalla stazione, sentii un forte boato e poi subito la colonna di fumo. In quella sala d’attesa potevo esserci anche io, perché generalmente attorno alle 10 compravo un panino nel bar lì vicino. Quel giorno però il mio caposquadra mi chiamò dicendo che eravamo un po’ indietro col lavoro e che avrei dovuto spostare la pausa a dopo le 11. Le 10 erano da poco passate e mi allontanai dalla stazione e dalla sala d’attesa dove pochi minuti dopo esplose la bomba. Ho ringraziato il mio caposquadra decine di volte”. Poi Donà con i suoi colleghi andò alla stazione “per partecipare ai lavori di pulizia. Era tutto crollato, un disastro immane, gente ferita, gente sconvolta. Noi ci occupammo di liberare i sottopassaggi dalle macerie. Furono scene agghiaccianti”. Arresti e indagini Ma ci sono anche altri elementi che legano Rovigo alla strage di Bologna, per la quale sono stati condannati Giusva Fioravanti, Francesca Mambro e Luigi Ciavardini (dei Nar, gruppo terrorista di estrema destra). Condanne che però non hanno fugato i numerosi dubbi sulle complicità, i depistaggi, le oscure manovre prima e dopo l’attentato e il ruolo dei mandanti. Dopo quel 2 agosto 1980 a Rovigo, come in tante altre città italiane, scattarono perquisizioni e arresti che videro finire in carcere molti esponenti dell’eversione di destra. Fra questi anche i componenti di quella che è stata considerata la cellula rodigina di Ordine nuovo. In carcere finì pure Giovanni Melioli, leader rodigino di On, il cui nome è poi spuntato nell’inchiesta per la strage di piazza della Loggia a Brescia.
Pr la strage di Bologna sono stati condannati Giusva Fioravanti, Francesca Mambro e Luigi Ciavardini (dei Nar, gruppo terrorista di estrema destra). Condanne che però non hanno fugato i numerosi dubbi sulle complicità, i depistaggi e le oscure manovre prima e dopo l’attentato. Dopo quel 2 agosto 1980, infatti, a Rovigo, come in tante altre città italiane scattarono arresti che videro finire in carcere molti esponenti dell’eversione di destra. Fra questi anche i componenti di quella che è stata considerata la ce[b]llula rodigina di Ordine nuovo. In carcere finì anche Giovanni Melioli, leader di rodigino di On, il cui nome è poi spuntato nell’inchiesta per la strage di piazza della Loggia a Brescia. Nel settembre del 1980 la casa di Melioli venne perquisita, portando alla luce documenti, opuscoli e volantini legati all’estrema destra. Coinvolti dalle indagini, soprattutto con l’accusa di banda armata, anche altri esponenti dell’area neofascista rodigina come Roberto Frigato, Nicola Ferrarese, Gianluigi Napoli che fu poi assolto in istruttoria. Melioli, rinviato a giudizio, fu assolto nei tre gradi del processo. Da notare infine che a Rovigo Fioravanti e la sua banda avevano amicizie, complicità e basi di appoggio.
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