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LA CERIMONIA

Si continua a morire sul lavoro anche in Polesine

I dati dell'Anmil illustrati durante la giornata del ricordo delle vittime degli incidenti sul lavoro

Neppure il lockdown ha ridotto i lutti, si continua a morire sul lavoro

ROVIGO - L’effetto lockdown non diminuisce i lutti. Anzi. Nei primi otto mesi di quest’anno, in Polesine ci sono stati quattro morti sul lavoro, esattamente tanti quanti ne sono stati registrati nello stesso periodo dell’anno precedente nonostante - per lunghe settimane - la stragrande maggioranza delle attività produttive hanno dovuto tenere chiuso a causa dei provvedimenti per il contenimento dell’emergenza sanitaria. E se nel resto d’Italia gli infortuni mortali sui posti di lavoro si sono ridotti, mediamente, nel 20% (e in Veneto sono passati da 61 a 52), tra Adige e Po il valore è rimasto esattamente identico, nonostante un caldo del 24% nel numero degli incidenti registrati, passati dai 1.646 (in otto mesi! Sei al giorno) dello scorso anno ai 1.249 del 2020 (cinque ogni giorno, festivi compresi).

Sono i numeri forniti dall’Anmil, nel corso della cerimonia, andata in scena alla Gran Guardia, in occasione della 70esima giornata per le vittime degli incidenti sul lavoro. La manifestazione, che si è svolta in tutta Italia sotto l’alto patronato del presidente della Repubblica, si è sviluppata con la deposizione di una corona d’alloro davanti la lapide dei caduti sul lavoro, per proseguire con l’intervento delle autorità locali.

E’ stato poi il presidente dell’Anmil di Rovigo Luciano Serafin ad intervenire, facendo il punto della situazione in Polesine. E puntando l’accento sulla necessità di costruire una cultura della sicurezza.

“In un momento in cui dobbiamo collettivamente progettare il futuro, noi vogliamo mettere a disposizione del Paese la nostra esperienza, che crediamo possa offrire un contributo significativo sul piano etico ed economico. Per fare questo - ha detto - abbiamo dato vita alla scuola della testimonianza, per far diventare i nostri soci formatori della sicurezza, per trasferire nel mondo del lavoro, ma anche della scuola, non solo regole burocratiche, ma emozioni e cultura della prevenzione. E siamo convinti, in questo drammatico contesto della pandemia, che la credibilità dei nostri testimonial li possa trasformare in quegli ambasciatori della prevenzione, oggi indispensabili per stimolare comportamenti corretti sul lavoro ma anche nella vita relazionale”.

Quindi, analizzando i numeri degli incidenti sul lavoro: “Vale la pena sottolineare - ha detto - che i dati di quest'anno sono fortemente influenzati dall'emergenza coronavirus e dal periodo di lockdown che ha interrotto drasticamente un alto numero di attività lavorative determinando, di conseguenza, un conseguente calo della percentuale di denunce registrate in modo abbastanza omogeneo sull’intero territorio. Ma sono comunque numeri che non si possono ignorare e per questo l’Anmil confida anche in un cambio di strategie da parte delle istituzioni che possa condurre ad una nuova visione di una cultura della prevenzione e della sicurezza, realmente condivise da Persone vere e non solo burocrati”.

“Una morte sul lavoro - ha concluso - crea un danno, un vulnus irreparabile, per sempre; ma l’unico, seppur piccolo, ristoro sembra essere quello di risarcire le persone che erano vicine alla vittima, superando una visione limitativa e obsoleta dei legami che danno diritto alla rendita, il cui valore non può essere dettato solo dalle ‘carte burocratiche’ ma dalla realtà operativa dei legami relazionali della vittima. Noi vogliamo rappresentare questi ‘diritti negati’ a cui dobbiamo aggiungere la situazione assurda degli orfani dei caduti sul lavoro che a 18 anni, aggiungono alla perdita dell’affetto e del sostegno di un padre o di una madre, quella del diritto alla rendita”.

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