VOCE
Diario dell'alluvione-2
01.11.2021 - 17:39
Oltrepassato, a Boara, il ponte sull’Adige, provammo tutti un senso di sollievo e, giunti a Padova, un senso di meraviglia. In Prato della Valle, da corriere e da camion, scendevano centinaia di profughi che i Padovani, a gara, invitavano a salire sulle loro macchine per portarseli nelle loro case.
Commisi un errore madornale preferendo all’ospitalità di sconosciuti quella del maestro P.F., padovano per residenza, non per costume.
Mi aspettavo in casa sua un’accoglienza quale mi era dovuta per averlo mantenuto a casa mia quando insegnava ad Arquà. Il maestro, purtroppo, doveva pensare agli interessi propri prima che ai nostri.
“Vedi - mi confessò di sfuggita al terzo giorno con una bocca colma di bave scarezzevoli – se non mi muovo io, quelli del Comune non mi vengono certo a cercare. Già: come alluvionato, ho diritto a vitto, alloggio, assegno giornaliero e vestiario... Fatti avanti anche tu. Cosa aspetti?!”.
Per fame e per freddo, in conclusione, fummo costretti a far fagotto e a cercar ospitalità altrove. La concittadina signora Franco con signorile premura ci indirizzò a Mortise, dal fratello di un altro illustre concittadino e questi, con precipitoso interessamento, dai signori Celin, una modestissima famiglia di contadini, sempre di Mortise, che ci accolsero con una benevolenza anche eccessiva, grazie proprio alla piccola Chiara per la quale, al contrario, ci eravamo visti chiudere, con amorevole delicatezza bisogna riconoscerlo, la porta in faccia per ben tre volte.
Si preoccuparono subito di lei: se la lavarono, se la incipriarono, se la cambiarono con panni nuovi e caldi e se la misero nel loro letto, tanto che, dopo quei tre giorni tormentati, mi sorpresi di poter ancora sorridere. Due settimane trascorsero in fretta. Ogni giorno fatti notizie incontri emozioni di natura sempre nuova e diversa, ma aventi come denominatore comune l’alluvione.
Una mattina la passai a far la coda nella grande sala del palazzo della Ragione
per aver in carità qualche indumento; portai a casa un paio di “flanelle” e di camicette usate per Chiara e niente per me e mia moglie perché i Padovani avevano offerto volentieri tutti gli scarti del loro guardaroba.
Tra i tanti, nel celebre palazzo, il non meno celebre, ad Arquà, Ferruccio ... c’era perché non gli andò bene con i frati di Santa Giustina che cercò di impietosire con immaginarie disgrazie.
“Ma è vero - chiesero quei frati ad un suo compaesano - che quel signore ha perduto tutto il bestiame?”.
“Proprio tutto no. - fu la risposta – Il bestiame che aveva addosso se l’è portato dietro sano e salvo!”
Vittorino Vicentini
2- continua
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