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Dove sono finiti i lavoratori?

Cisl: "Le aziende sono alla ricerca di 1900 lavoratori che non si trovano"

Dove sono finiti i lavoratori?

ROVIGO - “Aziende che cercano personale e disoccupati in cerca di lavoro”. E’ questa la situazione in Polesine, vista dal segretario generale della Cisl Padova-Rovigo Samuel Scavazzin. Che per uscire da questa impasse suggerisce di puntare tutto sulla formazione.

“Il cosiddetto skill mismatch, ovvero il divario tra le competenze richieste e quelle offerte - scrive infatti - è in continuo aumento e rappresenta un ostacolo sia per i livelli occupazionali che per la competitività del territorio. La trasformazione profonda che sta attraversando tutto il mondo produttivo richiede interventi immediati, per indirizzare l’innovazione tecnologica verso obiettivi di sviluppo economico, ma anche sociale. Secondo dati Excelsior, il sistema informativo di Unioncamere Anpal, i lavoratori ricercati dalle imprese venete nel mese di ottobre sono 50mila, almeno la metà dei quali difficili da reperire per ragioni anagrafiche e di competenze. A Rovigo, sempre secondo dati Excelsior, le aziende cercano 1.900 lavoratori e anche qui quasi la metà sono di difficile reperimento, il 16% per preparazione inadeguata”.

Ma non tutte queste offerte passano attraverso i canali ufficiali, come i Centri per l’impiego. “Il potenziamento delle politiche attive si conferma così indispensabile - dice Scavazzin - e anche individuare gli interventi formativi sui quali puntare. L’obiettivo è garantire il ricambio generazionale, lo sviluppo di nuove competenze, lo svecchiamento, soprattutto nel pubblico impiego, della cui efficienza in questo momento c’è particolare bisogno. E’ necessario agire a livello territoriale per realizzare, con le organizzazioni sindacali, le istituzioni pubbliche e le associazioni di categoria, una mappatura delle competenze, per individuare i settori più carenti e quelli eccedenti e sviluppare percorsi mirati di riqualificazione professionale che favoriscano la ricollocazione dei lavoratori. Il modello formativo, dalla scuola all’università e alla formazione professionale, va ripensato e collegato con le attese riforme delle politiche attive e degli ammortizzatori sociali. Solo legando la formazione allo sviluppo locale si potrà rendere più attrattivo il territorio per i giovani e si potranno valorizzare gli investimenti fatti, permettendo a chi è in cerca di occupazione di sperimentare qui la sua preparazione e trovare un’occupazione in sintonia con ciò per cui ha studiato, senza dover cercare all’estero o altrove. Non dimentichiamo che il tasso di disoccupazione giovanile in Italia (30%) è il doppio della media europea (15%)”.

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