VOCE
Rovigo
19.05.2022 - 23:41
ROVIGO - A Rovigo Beatrice Di Meo molti la conoscono come insegnante, come esponente del mondo del volontariato, e anche come assessore (per un anno o poco più). Ma Beatrice Di Meo è anche una scrittrice. E che scrittrice, visto che il suo secondo romanzo, “Luigi, il prozio di Brooklin”, edito da Mazzanti non solo ha già ricevuto un importante riconoscimento a Jesolo con il “Premio Letterario Filitalia Dispatriati” dell’associazione Filitalia di Philadelphia, ma oggi sarà anche presentato nell’ambito del Salone del libro di Torino.
“Luigi, il prozio di Brooklin” è un romanzo. Un bel romanzo, in un certo senso autobiografico, perché racconta la storia di un prozio che l’autrice non ha mai conosciuto ma di cui ha trovato traccia nei cassetti del padre: un carteggio fatto di lettere, cartoline, biglietti provenienti da Brooklyn che il prozio Luigi, emigrato giovanissimo in America, aveva spedito al fratello, il nonno di Beatrice. Qui nasce la storia, che si dipana lieve seguendo il filo della vita americana nella prima metà del secolo scorso. E’ la storia di una una famiglia italiana costretta a cedere le proprie terre e di un figlio che matura l’idea di espatriare in America alla ricerca di un futuro migliore. “Lontano dall’Italia, la vita di Luigi s’intreccia con quella degli Stati Uniti d’America, attraversando le fasi salienti delle diverse epoche dal 1905 agli inizi degli anni ’50”. Il tutto in una New York non da cartolina ma viva che pare di vederla scorrere davanti agli occhi come in un film.
“Ho sempre avuto la passione per la letteratura, a scuola insegnavo materie letterarie e ho sempre scritto qualcosa che tenevo per me... Il mio primo libro, ‘I giardini di Tripoli’ non ha avuto il successo che speravo, e poi è nata questa storia pescando nella mia famiglia”.
“Di fatto per me è stato come scoprire uno zio d’America, anche se anni fa, quando non conoscevo questa storia, a casa mia erano arrivati a trovarci dei parenti americani, di cui però ho poi perso le tracce. Solo tanti anni dopo, riguardando le carte di famiglia ho capito tutto...”. Il libro è un romanzo che parte dalla realtà, dalle carte di famiglia, “ma non ho voluto approfondire troppo la biografia del mio prozio, è nato sulle sensazioni che mi hanno trasmesso quelle carte. L’intenzione era quella di comunicare qualcosa della vita degli immigrati, dei loro sacrifici e anche dei loro successi... Le radici, anche negli immigrati non sono mai venute meno. A questo punto mi piacerebbe che l’associazione di Philadelphia facesse conoscere il libro agli immigrati e ai loro discendenti”.
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