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siccità
08.07.2022 - 18:57
ROVIGO - Una crisi idrica, definita di proporzioni storiche, sta ormai attanagliando tutto il paese ed in particolare la zona del Polesine. Per il futuro sarà indispensabile, secondo Monica Manto, direttore generale di Acquevenete e presidente del consorzio Viveracqua, variare il sistema di approvvigionamento, diventando meno dipendenti da quella locale. Fondamentale anche investire in opere di ammodernamento della rete idrica, per disperderne il meno possibile.
Qual è la situazione del territorio, anche a livello di bacino idrografico dell’asta del Po?
“Dell’acqua dolce che troviamo in ambiente il 75% viene utilizzata a scopo agricolo, il 25% a scopo industriale e solo la residua parte a scopo domestico. Quando la crisi impatta sul settore idro-potabile si sente in maniera acuta, non avere a disposizione acqua in casa rappresenta una grave criticità, cosa che abbiamo rischiato di vedere nelle settimane scorse in Polesine. Le ultime piogge hanno leggermente migliorato la situazione e la portata del Po è migliorata, ma lo stato di crisi continua. Il cuneo salino sembra arrivato al punto massimo, non sappiamo se per via della portata più ampia o se per via delle maree. I dati, in ogni caso, sono in miglioramento”.
A livello nazionale circa il 30% di acqua va disperso perché il sistema delle condotte è precario. Cosa si può fare?
“Ammodernare le reti, sostituendo le vecchie. Le reti vetuste si rompono e si fessurano, con perdite evidenti ma anche occulte, che dobbiamo ricercare. Il tasso di sostituzione in Italia è molto basso e ci vorrebbe molto tempo per sistemare tutta la rete. Non è un problema di volontà di manutenzione ma economico. Abbiamo la possibilità di sostituire le reti in base ad una tariffa, che è tra le più basse in Europa e consente di fare un massimo valore di investimenti all’anno. AcqueVenete investe circa 40 milioni di euro all’anno, il massimo possibile. È quasi il doppio della media nazionale negli investimenti pro capite, ma comunque il massimo che riusciamo a fare”.
Investire in manutenzione significherebbe riduzione delle perdite e quindi anche in un recupero dei soldi che verranno investiti.
“Le perdite sono date tra l’acqua immessa in rete e quella fatturata. L’acqua dispersa comporta un costo di energia, manutenzione e ammortamento che si scarica su quella prodotta. Il regolatore nazionale Arera ed il Consiglio di bacino Polesine pongono l’accento massimo su un indicatore, chiamato M1, finalizzato a ridurre le perdite idriche. Acquevenete investe almeno 10 milioni di euro all’anno solo per ridurre le perdite idriche, un beneficio ambientale ma che si tramuta anche in un efficientamento dei costi. Faccio anche notare, però, che la nostra rete idrica ha molte meno perdite rispetto alla media nazionale”.
Con la nomina del commissario ad hoc per l’emergenza sarà possibilità investire maggiori risorse per far fronte a questa emergenza che potrebbe ripresentarsi negli anni a venire?
“Al momento le risorse sono limitate, ma è anche vero che sono le prime destinate a far fronte all’emergenza. Con l’aggravarsi della situazione, avevamo avviato un piano emergenziale di siccità, minimizzando la produzione dalla centrale di ponte Molo e prendendo acqua dal Savec, massimizzando il prelievo da Cavarzere, dove è presente il serbatoio che riceve quest’acqua e dirottandola verso le zone del Basso Polesine in stato di criticità. Con un booster abbiamo inoltre spinto l’acqua dalla centrale di Corbola, sempre verso le zone servite da ponte Molo. Quella prodotta da quest’ultima è passata attraverso un impianto che trattava acqua salata. I valori erano molto alti, abbiamo tarato la strumentazione e siamo riusciti a dare continuità alla potabilità, senza interruzioni. Confidiamo che il costo di queste azioni emergenziali ci venga ristorato con la nomina di questo commissario”.
Come evitare in futuro di dover ricorrere ancora ad azioni di emergenza?
“Per risolvere in maniera stabile questa criticità, è necessario mettere in connessione le fonti di produzione, con condotte che garantiscano al territorio un approvvigionamento non esclusivamente da acque di fiume. Stimiamo che per metter in sicurezza totalmente la zona sarebbero necessari 75 milioni di euro di investimenti”
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