Cerca

ROVIGO

"Salviamo il dialetto veneto"

Dopo la proposta di Bitonci di inserire l’insegnamento a scuola: "Sono le nostre radici"

"Salviamo il dialetto veneto"

ROVIGO - C’è un dibattito molto acceso in questi giorni, figlio di quello sull’autonomia in Veneto, che riguarda l’inserimento del dialetto veneto nell’insegnamento scolastico e nella diffusione radio e tv. La proposta è del sottosegretario Massimo Bitonci (e risale a 10 anni fa, ma è stata riesumata nei giorni scorsi) e fa discutere animatamente.

Sul tema è intervenuto Andrea Pennacchi, in arte Pojana, che vive di dialetto, ma non ne considera utile lo studio, visto che oggi si fa già fatica a imparare un corretto italiano. Di diverso avviso in Polesine, il professor Gianni Sparapan, ex docente di italiano e storia alle superiori, scrittore dialettale e studioso della lingua veneta, autore di un dizionario del Basso Veneto e di una grammatica: “Io ritengo che lo studio della lingua veneta sia un arricchimento di tutti gli scolari, più lingue conoscono più si migliora e si ha la possibilità di esprimersi. Inserirei questa ricerca linguistica come analisi delle origini e delle tradizioni venete. E non solo in Veneto, ma in tutte le regioni. E’ giusto che parte delle lezioni sia riservata alle proprie tradizioni, quasi un dovere del cittadino conoscere il proprio passato”.

La teoria del professor Sparapan, tuttavia, è che anche l’italiano sia destinato a scomparire. Una teoria in assoluta antitesi con la sua ricerca del lessico dei nostri nonni: “Le lingue come l’italiano, il tedesco, sono destinate a morire. Bisogna ragionare in termini mondiali oramai, ma se ci pensiamo chi parla in inglese oggi conosce sì e no 800 vocaboli, ne usa 200. Invece è importantissimo conoscere bene una lingua per potersi esprimere correttamente, ragionare, argomentare”.

Secondo gli studi sempre vivi di Sparapan, la lingua veneta si è cominciata a perdere addirittura con la Serenissima. “Venezia non si è mai preoccupata della lingua veneta. Anzi, fu proprio un veneziano, Pietro Bembo all’inizio del 500 a proporre il toscano come lingua italiana. A loro interessavano i commerci. In seguito, con l’unificazione d’Italia Roma nel 1870 adottò la linea dell’accentramento voluta da Ricasoli e ci fu una lotta sulle particolarità locali, per opporsi all’imposizione della lingua toscana. Ma c’era urgenza di unificare l’Italia e vennero imposti “I Promessi Sposi”. Anche durante il fascismo c’era il divieto di fare teatro dialettale, che venne riproposto solo negli anni Cinquanta, nel frattempo tanta strada era perduta”.

Insomma, di attentati alla lingua veneta ne sono stati fatti a non finire. E non è certo l’inserimento della lingua veneta a scuola che può cambiare le carte in tavola, ma l’uso della lingua. “Il Veneto è destinato a scomparire, lo dico con sofferenza, ma è così. Un impoverimento generale del mondo. La lingua con cui sogniamo, pensiamo, riflettiamo è quella “madre” cioè quella che abbiamo appreso fino ai tre anni. Se hai ascoltato il Veneto per i primi anni, litighi in veneto, parli in veneto, e non dovremmo mai vergognarci di parlare della nostra lingua. E’ bellissimo essere radicati alla propria terra e cultura. Quindi io sono d’accordo nell’introdurla a scuola”.

Resta aggiornato, iscriviti alla nostra newsletter

Commenta scrivi/Scopri i commenti

Condividi le tue opinioni su

Caratteri rimanenti: 400