VOCE
22.11.2022 - 11:52
Prima di tutto, occorre precisare che, in questo caso il tombino, è un bene in custodia del Comune e diventa, secondo la Cassazione, «un’insidia stradale» che può integrare una situazione di pericolo occulto «per la sua oggettiva invisibilità e per la sua conseguente imprevedibilità».
Ed ecco i due elementi che possono costituire il diritto al risarcimento in caso di caduta per tombino rialzato:
Ai fini del risarcimento, pertanto, il pedone deve dimostrare che c’erano insieme queste due circostanze.
Inoltre, deve anche provare il nesso causale tra il danno e il bene in custodia del Comune, cioè che la lesione è stata provocata da quell’insidia «invisibile e imprevedibile».
Il Comune può contestare il risarcimento?
Se il pedone riesce a dimostrare quanto sopra, si presume la colpa del Comune per la caduta a causa di un tombino rialzato, dato che, in quanto custode della cosa, avrebbe dovuto provvedere ad eliminare l’insidia.
Tuttavia, l’Ente locale potrebbe sostenere che l’incidente è avvenuto per la scarsa attenzione mostrata dal pedone, specialmente se il fatto avviene in un tratto di strada che quella persona percorre quotidianamente o, comunque, molto spesso. Insomma, se altre volte hai schivato il tombino, perché questa volta sei inciampato?
È il cosiddetto «caso fortuito» a cui spesso le amministrazioni si appellano per evitare di pagare un risarcimento.
In sostanza, il Comune può sostenere che il pedone ha avuto un comportamento negligente o imprudente in grado di interrompere il nesso causale tra il danno subìto e la cosa custodita.
A quel punto, ci potrebbero essere gli estremi per una sorta di «concorso di colpa», addirittura, per accollare completamente la responsabilità al cittadino che non è stato attento a dove metteva i piedi.
Si parla, in quest’ultimo caso, di «principio di autoresponsabilità».
La Cassazione:
Questo principio è stato più volte ribadito dalla Cassazione: non si ha il diritto al risarcimento nel caso in cui la caduta avvenga in una strada che il pedone percorre frequentemente perché si presuppone una disattenzione da parte sua di fronte ad un’insidia a lui non nuova.
In altre parole, se sai che c’è un tombino rialzato, una buca nel marciapiede o un sampietrino che eviti ogni giorno per non finire a terra, la volta che ci caschi non puoi dare la colpa agli altri.
Ma non è sempre così.
Sempre la Suprema Corte ha recentemente deciso che in alcuni casi il diritto al risarcimento esiste eccome:
Lo ha fatto occupandosi del caso di una signora che è inciampata proprio su un tombino rialzato di pochi centimetri vicino a casa sua. Il problema è che la zona in cui si trova l’insidia era stata chiusa al transito di veicoli e pedoni per lavori. Una volta riaperta, il tombino non era nelle condizioni in cui si trovava prima ma era ribassato rispetto alla strada di appena cinque centimetri. Tanto basta per provocare una caduta e il conseguente danno.
Il concetto espresso dalla Cassazione è il seguente: se un’anomalia è impercettibile, perché presenta un dislivello di pochi centimetri, non può essere rilevante al punto di chiedere al pedone di notarla per evitare di inciampare.
Ed ecco che si presentano le due condizioni sopra citate: l’invisibilità e l’imprevedibilità. Tanto più in una strada appena sistemata, sulla quale non ci si attende che ci siano delle insidie.
Diverso sarebbe se si transita su una strada dissestata, dove il pedone, di suo, tende a stare più attento.
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