VOCE
ROVIGO
20.02.2023 - 16:55
ROVIGO - Arriva il "Marti grasso", ultimo giorno del Carnevale. Dolci tipici, feste in piazza, costumi e balli in maschera: da dove arrivano le tradizioni del Carnevale in Polesine? Qual è la loro storia? Ne parla lo storico polesano Paolo Rigoni.
Il processo a Re Carnevale, la festa con uova e salumi che trasgrediva l'astinenza cattolica del mercoledì delle ceneri lungo il Po a Boara, la gara della pastasciutta nelle piazze e molto altro ancora. Ecco come festeggiavano un tempo il Carnevale i polesani.
“Del Carnevale in Polesine si trova traccia all'interno dell'Inchiesta del Regno Italico del 1811 - spiega lo storico polesano - In particolare si fa riferimento alle varie usanze del Veneto che erano alquanto simili in tutta la regione: balli in maschera, feste in piazza, rovesciamento dei ruoli (uomini vestiti da donna e viceversa, numerosissime mascherate di animali) cortei, scherzi, frizzi e lazzi e licenza sfrenata. Vi è poi un riferimento specifico per Adria: ‘Si aggiunge che nelle strade si poteva ammirare il ballo di sole ragazze guidate da un tamburello’, si legge nel documento. E’ vero che erano giorni in cui imperava la licenza, ma un corteo danzante di sole giovani sulla pubblica via della città un po’ fa pensare - spiega Rigoni - Si può essere indotti a ritenere che una tale esibizione tutta al femminile fosse in qualche modo ereditata o influenzata da quell’altrettanto famoso corteo de La Pensa di San Pietro (XVI sec.) quando ‘li principali della Città in numero di otto con le labarde in spalla conducevano le verginelle d’Adria alla Festa con una modestia grandissima, e ciascheduna andava dove più li gradiva perché in tre luochi si faceva questi Balli’”.
Dei dolcetti tipici vi è menzione in questo documento?
“Accanto ai favi, favette o basini, ai cròstoli e ai gallani, alle frittele, un dolce caratteristico del giorno era la miazza, smegiassa, mgiassa, meassa, secondo le varietà dialettali polesane partendo da Porto Tolle a Melara - risponde lo storico di Bellombra - Altro non era altro che il migliaccio, una torta già nota nel Medio Evo, documentata dal canonico adriese Alfonso Bocca che nel 1607 lamenta proprio a Carnevale il furto di una “mezza smeada”. E se per Verona rimane famosa la zòbia gnocolara, pure per il Polesine vi era la consuetudine di consumare gnocchi il giovedì grasso, il venerdì che da noi era detto ‘gnocolaro’, o l’ultimo giorno stesso. Ma si badi bene, gnocchi conditi con zucchero, burro e cannella, e non in altro modo”.
E della classica festa in piazza, con carri e costumi, abbiamo qualche riferimento nella storia del Polesine?
“Certo, giochi ed intrattenimenti in piazza, Albero della cuccagna, rottura delle pentole, Gara della pastasciutta (cioè i concorrenti con mani legate dietro la schiena, tuffavano la faccia in una terrina di tagliatelle lordandosi. Vinceva chi riusciva per primo a terminare). E poi il processo a Re Carnevale concludeva il periodo di festa: un fantoccio addobbato a re, con manto rosso e corona sul capo, posto su un carretto trainato da un asino giungeva nella piazza del paese e lì si drammatizzava un vero e proprio processo con un accusatore che lo caricava di tutte le disgrazie accadute nel corso dell’anno trascorso ed un difensore che cercava di attutirne le colpe. In tutto questo la regina consorte piangeva, si stracciava le vesti, urlava tutta scarmigliata, implorava pietà agli spettatori vocianti che già avevano scelto il verdetto. La rappresentazione terminava con la condanna a morte ma prima si concedeva l’ultima parola al condannato che lasciava in eredità i suoi beni, cosa che aumentava ancor il riso della piazza. Poi il fantoccio, quale capro espiatorio, era bruciato o annegato”.
C'erano altre tradizioni carnevalesche, all'epoca, in Polesine?
“Sì, suonava la Rénga. Alla mezzanotte, in ogni paese la campana, mandava i suoi dodici laconici rintocchi che decretavano il termine dei bagordi e la fine del regno di Re Carnevale e l’avvento del nuovo re, Re Ravanelo, sotto le cui insegne nel giorno successivo iniziavano Le Ceneri e la Quaresima con i digiuni e le astinenze. La campana chiamata ironicamente la Rénga mette fine all’abbondanza della carne e del fritto e imponeva penitenza frugale. Ma uno sforamento al giorno delle Ceneri si registrava un po’ ovunque, quasi un tentativo di rigettare le regole canoniche. Era usanza dei rodigini recarsi sul ponte dell’Adige, a Boara Pisani. Qui per un giorno in più continuava a regnare il Carnevale: si protraeva il ballo, si mangiavano uva sode e si affettavano salumi. Ma era una consuetudine diffusa in molti luoghi di confine rappresentati dal Po e dall’Adige; in ogni caso come una sorta di gita fuori porta dalle cittadine polesane molti si recavano in qualche osteria di campagna per risentire, per l’ultima volta prima dell’astinenza, il profumo dei salami e pure delle uova che nel periodo di astinenza erano bandite”.
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