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LO STUDio
28.10.2023 - 11:29
ROVIGO - Il capoluogo polesano tra le ultime nella classifica delle province venete per buste paga e 49 esima a livello nazionale. A confermarlo è uno elaborato dall'Ufficio Studi della Cgia su dati Inps, che evidenzia disuguaglianze salariali significative tra le province del Veneto.
Nel 2021 i lavoratori dipendenti del settore privato nella provincia di Vicenza hanno ricevuto le buste paga più pesanti, con una retribuzione media annua di 24.139 euro, un aumento del 10,4% rispetto alla media nazionale. Subito dietro seguono i colleghi di Treviso con 23.836 euro (+9%), Padova con 23.788 euro (+8,8%), Verona con 22.726 euro (+3,9%), Belluno con 21.754 euro (-0,5%) e Venezia con 20.454 euro (-6,5%). Infine, Rovigo si posiziona all'ultimo posto con 19.811 euro, evidenziando una diminuzione del 9,4% rispetto alla media nazionale.
A livello regionale, nel 2021, il salario medio annuo nel Veneto è stato di 22.852 euro, classificando la regione al quarto posto a livello nazionale, dietro Lombardia (27.285 euro), Emilia Romagna (23.798 euro) e Piemonte (23.661 euro). La media nazionale era di 21.868 euro.
Queste cifre rivelano le disuguaglianze retributive presenti tra le diverse aree del Paese, compresa quella tra Nord e Sud Italia e tra le aree urbane e rurali del Veneto. Tali squilibri salariali persistono nonostante l'impiego del contratto collettivo nazionale del lavoro (CCNL) nel tentativo di ridurre tali differenze.
L'analisi dell'Ufficio Studi della CGIA suggerisce che l'adozione diffusa della contrattazione decentrata potrebbe contribuire ad alleviare le disuguaglianze salariali. Attualmente, solo il 20% dei lavoratori italiani è coinvolto in contratti di secondo livello, con 3,3 milioni di dipendenti interessati. Aumentare il ricorso a questi accordi, premiando gli obiettivi di produttività, potrebbe essere una soluzione per ridurre le disparità salariali, specialmente nelle regioni come il Veneto, che hanno subito una significativa perdita del potere d'acquisto negli ultimi anni a causa dell'inflazione. Tuttavia, al 1° settembre 2023, il 54% dei lavoratori dipendenti del settore privato in Italia aveva il Ccnl scaduto, rendendo difficile raggiungere un accordo sugli aumenti retributivi entro le scadenze previste.
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