VOCE
La scoperta
02.06.2018 - 16:39
E’ morto in croce come Gesù Cristo, probabilmente negli stessi anni. Ma invece che in Medio Oriente, è vissuto qui in Polesine, nell’area dove ora sorge Gavello. Uno studio multidisciplinare condotto in collaborazione tra ricercatori dell’università di Ferrara e di Firenze ha permesso di far luce sui resti umani proveniente da una sepoltura in Basso Polesine. Il reperto è stato scoperto dall’allora Soprintendenza Archeologica del Veneto durante gli scavi archeologici d’emergenza condotti nel 2006-2007 in occasione della posa in opera del metanodotto in località La Larda di Gavello.
La deposizione era avvenuta in una sepoltura isolata e priva di alcun corredo. Il profilo biologico e genetico dell’individuo indica che si trattava di un uomo morto a 30-34 anni di costituzione fisica gracile e bassa statura. “Nel caso specifico, nonostante le cattive condizioni di conservazione - afferma la professoressa Emanuela Gualdi, del dipartimento di scienze biomediche e chirurgico specialistiche di Unife - abbiamo potuto dimostrare la presenza di segni sullo scheletro che indicano una violenza assimilabile alla crocifissione”.
“Il calcagno destro (l'unico conservato) mostra inequivocabilmente una lesione peri mortem (sfondamento) dal lato mediale (foro d'entrata). La lesione attraversa poi il calcagno fino al lato esterno del piede, confermando l'ipotesi di una esecuzione tramite crocifissione”, aggiunge la dottoressa Nicoletta Onisto, del dipartimento di scienze biomediche e chirurgico specialistiche dell’ateneo.
“Questo tipo di esecuzione - continua la professoressa Ursula Thun Hohenstein del dipartimento di studi umanistici di Unife - veniva generalmente riservata agli schiavi. La stessa marginalizzazione topografica della sepoltura induce a pensare che si trattasse di un individuo ritenuto pericoloso e negletto dalla società in cui viveva che lo rifiutò anche dopo la morte”.
“L’importanza della scoperta risiede nel fatto che è il secondo caso documentato al mondo. Nonostante infatti questo brutale tipo di esecuzione sia stato perfezionato e praticato a lungo dai romani, le difficoltà di conservazione delle ossa lesionate e, successivamente, di interpretazione dei traumi ostacolano il riconoscimento delle vittime di crocifissione, rendendo ancora più preziosa questa testimonianza” conclude Thun.
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