VOCE
Editoria
13.11.2018 - 22:51
Il tempo passa, e la gente ha pure diritto di cambiare idea, ci mancherebbe.
Luigi Di Maio, oggi vicepresidente del Consiglio, quell’articolo in cui “vantava” di avere ottenuto un finanziamento con soldi pubblici (visto che veniva da fondo universitari) per la rivista che editava forse se l’è dimenticato. L’Ordine dei giornalisti della Campania, dal canto suo, si è dimenticato (e non trova più) gli articoli grazie ai quali Di Maio ha ottenuto l’iscrizione all’Ordine dei giornalisti (elenco dei pubblicisti). Iscrizione a cui evidentemente tiene, visto che tutti gli anni continua a pagare la tassa di iscrizione. Insomma, è orgoglioso di fare parte della categoria delle “puttane”, come ha definito sprezzantemente i giornalisti il suo collega di partito Alessandro Di Battista, e degli “sciacalli”. Non solo, avendo dimenticato il passato Di Maio si è pure lanciato in un campagna contro il finanziamento ai giornali, facendo finta di dimenticare (ma la memoria, ah la memoria...) che i grandi giornali contro cui si scaglia di quei fondi per il pluralismo non vedono neppure un centesimo. Ma tant’è.
Luigi Di Maio, all’epoca 20enne, ha comunque cambiato idea su un sacco di cose. Nei suoi articoli definiva “amarcord” il posto fisso, faceva il tifo per la vendita di Alitalia ad Air France e annunciava, orgoglioso, di ricevere aiuti economici da un’istituzione pubblica. Come si cambia...
Ma andiamo per ordine, Luigi Di Maio - come racconta Vanity Fair che è andata spulciare fra le carte - ha cominciato la sua attività da “giornalista” scrivendo per Il Paese futuro, un settimanale di Pomigliano d’Arco. E grazie a quegli articoli si è iscritto all’Ordine degli sciacalli. Pardon, dei giornalisti. Ma è stato in un’altra testata che si è formato giornalisticamente. Correva l’anno 2006 e il giovane Di Maio studiava giurisprudenza all’Università Federico II di Napoli. Assieme a un collega fondò Studentigiurisprudenza.it, un’associazione - con relativo periodico e pagina Facebook - per informare gli studenti sulla vita dell’Ateneo. “Studentigiurisprudenza.it magazine, bollettino d’informazione universitaria” nacque - come scrisse lo stesso Di Maio - “per diventare il punto di riferimento principale per l’informazione universitaria”. Prima quattro pagine e meno di 300 copie fotocopiate con Di Maio che firma pure un non memorabile editoriale, poi una tiratura maggiore e articoli che vanno dalle Unioni civili alla macroeconomia, dal peana del mercato liberale alla necessità di vendere Alitalia. Fino al giorno in cui l’uomo che oggi si scaglia contro i finanziamenti al fondo per il pluralismo finì con il vantarsi per iscritto di avere ricevuto finanziamenti in qualche modo pubblici. Siamo nel 2010 e sempre su Studentigiurisprudenza.it, Di Maio firmò un editoriale in cui - come racconta sempre Vanity Fair - spiegò ai suoi lettori che il foglio di 4 anni prima era diventato “il primo giornale della Facoltà di Giurisprudenza per numeri e per persone in redazione. Il nostro sito ha superato il milione di accessi. E l’Ateneo Federico II l’anno scorso ha deciso di finanziare il nostro progetto permettendoci di superare le 15mila copie stampate”.
Insomma, il magazine viene finanziato dall’Università. Che è un gesto lodevole da parte di un Ateneo che investe soldi per garantire la pluralità di voci. Insomma, proprio quello che oggi Di Maio vuole cancellare. Insieme all’Ordine al quale è iscritto. “Libertà di informazione - insiste oggi Di Maio - significa che un giornale dipende non dai soldi che gli dà la politica, ma dai soldi che fa vendendo il giornale...”. Non proprio come il suo Studentigiurisprudenza.it che di copie non ne ha mai venduta neppure una, ma i soldi che gli hanno “permesso di superare le 15mila copie” li ha incassati. E pure senza protestare.
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