VOCE
VENETISTI A PROCESSO
15.03.2019 - 13:54
Non è un'arma da guerra. Almeno, non adottando le modalità di test con le quali gli esperti che hanno gestito l'incidente probatorio hanno dovuto operare. Ossia, utilizzando un munizionamento che non era quello, a loro avviso, sequestrato in fase di indagine e per il quale era stato pensato il "cannoncino" del tanko, ossia la ruspa blindata e attrezzata, appunto, con una bocca da fuoco, di fattura artigianale, che sarebbe stato realizzato da alcuni cosiddetti "venetisti" in un capannone di Casale Di Scodosia. Provincia di Padova, ma sotto la competenza del tribunale di Rovigo. Nella mattinata di venerdì 15 marzo, di fronte ai giudici del Collegio di Rovigo, hanno deposto gli esperti di armi che hanno valutato, appunto, il cannoncino.
Una vicenda che si inserisce nell'ambito della maxi inchiesta, coordinata dalla Procura di Brescia e gestita dai Ros lombardi, che riteneva di avere gettato luce sulla esistenza di una associazione, denominata "Alleanza", che avrebbe perseguito l'indipendenza del Veneto e della Lombardia orientale, da ottenersi anche con metodi violenti. A luglio del 2018, l'udienza preliminare, di fronte al giudice di Rovigo, sono cadute le contestazioni di attività eversiva a carico di una trentina di indagati, prosciolti dalle accuse. In 15, invece, sono andati a processo, per la contestazione relativa alla fabbricazione del "tanko", ritenuto dall'accusa un'arma da guerra, quanto a cannoncino.
Il motivo del contendere sta proprio qui: quel cannoncino, sulla cui capacità di sparare non paiono esserci dubbi, poteva o meno essere considerato arma da guerra? Gli esperti non hanno potuto arrivare a una risposta conclusiva. Il motivo è semplice: non è stato consentito loro, al momento dei test, svolti in forma garantita, di impiegare il munizionamento sotto sequestro, che, hanno detto "si adattava perfettamente alla canna". Hanno dovuto quindi ripiegare sul munizionamento più compatibile trovato in commercio, ossia cartucce esplosive che vengono impiegate nella pulizia degli altoforni. Ovviamente un dispositivo molto differente, a loro avviso, rispetto a quello in sequestro,
Non che, a loro avviso, pure in questa maniera decisamente abborracciata, la bocca da fuoco si sia rivelata durante i test uno sparacoriandoli: ha incrinato, a una distanza di alcuni metri, hanno detto i periti, vetro blindato garantito antisfondamento a fronte di calibri come il 7,62 millimetri. "Possiamo dire - hanno spiegato ai giudici del Collegio - che con questo munizionamento la potenza del cannoncino fosse paragonabile a quella sprigionata da un fucile da caccia grossa, ad anima rigata. Per intenderci, un fucile impiegato per animali dal rinoceronte in su". Non comunque una arma da guerra.
Rimane un dubbio: se si fossero potute impiegare le cartucce e i proiettili adatti, i periti sono certi che il risultato sarebbe stato differente. Ma di quanto? Si sarebbe raggiunta la soglia oltre la quale si può parlare di arma da guerra e, quindi, di un reato come quello contestato? Si può ragionare, a questo punto, dopo che la richiesta di rifare i test, sempre in forma di perizia, è stata rigettata, solo in termini di possibilità.f L'impressione che è emersa dall'audizione degli esperti è stata, quindi, che il tanko non fosse certo inoffensivo come è stato descritto in alcune circostanze.
Il che non significa, ovviamente, che, Codice penale alla mano, si possa sostenere che quel cannoncino fosse un'arma da guerra. Una differenza cruciale, in termini processuali. Il che non toglie che, al di fuori dei rigidi meccanismi del diritto e del processo, la deposizione dei periti abbia lasciato l'impressione, piuttosto vivida, che il tanko fosse attrezzato con un'arma di fare male. E molto. Al di là delle classificazioni giuridiche.
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