VOCE
CASO COIMPO
03.10.2019 - 09:08
Il pubblico ministero Sabrina Duò
Un impianto nel quale la autorizzazioni non sarebbero state rispettate, nella prassi quotidiana delle lavorazioni, così da mettere a rischio i lavoratori. Quattro dei quali, il 22 settembre del 2014, vennero fulminati da una nube tossica che si sprigionò durante il trattamento dei fanghi da depurazione, per renderli spandibili come concime. Questo il quadro tracciato dal pubblico ministero Sabrina Duò nel corso della requisitoria, che ha portato a otto richieste di condanna per un totale di oltre 50 anni di reclusione (LEGGI ARTICOLO) per il processo incentrato sulla strage avvenuta nell'impianto Coimpo - Agribiofert, di Ca' Emo, Adria, 5 anni e 11 giorni fa. Il tutto precisando, come già avevano fatto i periti incaricati dal giudice, che le autorizzazioni concesse dalla Provincia sarebbero state già in origine piuttosto di "manica larga" e che avrebbero, ad avviso degli esperti, essere più severe e prescrittive.
Non a caso, ha spiegato il pubblico ministero, è ancora aperto un procedimento penale mirato proprio a chiarire eventuali "connivenze" delle quali Coimpo e Agribiofert avrebbero potuto godere. L’indagine non è ancora chiusa. La scorsa primavera, è stata chiesta una nuova proroga. Nel corso della sua requisitoria, però, il pubblico ministero ha appunto tirato in ballo a più riprese quel procedimento penale, l’ultimo, della “galassia Coimpo”, ancora in fase di indagini preliminari.
Lo ha fatto per ribadire un concetto molto chiaro: lo stabilimento di Ca’ Emo avrebbe goduto di una certa “benevolenza”, in Provincia, quanto ad autorizzazioni. Si parla, insomma, della possibilità che sussista una fattispecie di reato ipotizzata molto grave: corruzione. Uno scenario che Duò, che ha seguito il caso sin dal giorno delle indagini, ha illustrato bene con un passaggio chiarissimo, quando ha parlato di “atti illegittimi per favorire determinati soggetti con istruttorie macroscopicamente benevole”.
Indagato, in questo fascicolo, ci sarebbe tra gli altri, un lavoratore che all’epoca era dipendente della Provincia e che sarebbe stato coinvolto, tramite la moglie, secondo questa ipotesi, in un corto circuito tra controllore e controllato. La Provincia, infatti, è l’autorità competente a rilasciare le autorizzazioni per impianti come Coimpo. In particolare, ha proseguito il pubblico ministero nell’illustrare il quadro generale, per un periodo, la moglie del dipendente provinciale sarebbe stata in società, in una azienda, proprio con Mauro Luise e con Gianni Pagnin, imputati nel procedimento per le morti e per i quali il pubblico ministero ha domandato una condanna a 10 anni a testa.
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